Ogni atto del Capo dello Stato inevitabilmente suscita commenti delle forze politiche: non poteva essere diversamente per la nomina dei quattro nuovi senatori a vita. Oltre a considerare le dichiarazioni, però, occorrerebbe fare qualche conto per scoprire se davvero i nuovi membri del Senato potranno essere aghi della bilancia per il futuro della legislatura.
All’inizio della legislatura, il centrosinistra a Palazzo Madama poteva contare su 123 seggi, il centrodestra su 117, il MoVimento 5 Stelle su 54, mentre la pattuglia di montiani si era fermata a 19 (al conteggio totale bisognava aggiungere due seggi, conquistati uno da Vallée d’Aoste e uno dal Maie).
Il governo Letta al Senato aveva ottenuto 233 voti a favore, provenienti dai gruppi Pd, Pdl, Sc, Svp e Grandi autonomie e libertà (vicino a Pdl e Lega), anche se qualche singolo si era astenuto o era uscito dall’aula; si erano schierati contro (59 voti) essenzialmente Sel e i 5 Stelle, mentre le astensioni (la Lega e qualche singolo di Gal) erano state 18.
Se dovesse venire meno – magari dopo un voto non gradito sulla decadenza di Silvio Berlusconi – il sostegno del Pdl al governo Letta, teoricamente questo potrebbe contare soltanto sui voti del Pd (108, da cui sottrarre il presidente del Senato Grasso, che non vota per consuetudine) e di Scelta civica (20, compreso Monti che è senatore a vita); a questi 128 si possono aggiungere i 10 senatori del gruppo Per le Autonomie. La somma fa 138, lontana dalla quota 159, che fino a ieri indicava la maggioranza assoluta (su un totale di 315 membri eletti e due senatori a vita).
Un eventuale governo Letta-bis, invece, potrebbe contare su numeri diversi. Nei giorni scorsi si è parlato da più parti (anche in seguito alle dichiarazioni di Paolo Naccarato) di un gruppo di senatori eletti con il Pdl o comunque nel centrodestra che sarebbero pronti a sostenere un nuovo esecutivo che allontanasse il ritorno alle urne in tempi brevi, per il bene del Paese. I bene informati dicono che Alfano abbia parlato di “venti carte coperte”: se quella previsione fosse reale anche solo per metà, i senatori disposti ad avallare la nascita e l’attività di un Letta-bis sarebbero già 148, nella più rosea (per Letta) delle aspettative.
Non bisogna però trascurare il M5S: già ora sono tre gli eletti che hanno lasciato il gruppo (Marino Marinangeli, Paola De Pin e Adele Gambaro) e non è escluso che possano decidere di appoggiare un nuovo esecutivo. Allo stesso modo, le voci su eventuali “aperturisti” potrebbero far pensare a ulteriori uscite dal gruppo legato a Beppe Grillo, magari in favore di un esecutivo che si dia un programma determinato e riformi la legge elettorale. Se i transfughi fossero una decina, la “quota di sopravvivenza” (che da oggi sale a 161) sarebbe raggiunta o sfiorata.
Ecco che, allora, i quattro nuovi senatori a vita, che qualcuno ha immediatamente ricondotto (almeno in parte e forse con un po’ di malizia) a simpatie di centrosinistra, potrebbero essere determinanti. Magari non per raggiungere la maggioranza, ma per consolidarla.
Ogni seduta, infatti, resta in balia del numero effettivo di presenti e si potrebbe non considerare compatto il comportamento dei senatori del Pd, visti i malumori che si sono già verificati in passato; del resto, si dovrebbe valutare anche la scelta di Sel, il cui appoggio a un governo Letta-bis, privo del Pdl sarebbe molto probabile (e allora di transfughi ne basterebbero ancora meno, giusto una decina).
Il governo che si formasse in quel modo non avrebbe vita semplice, ma sarebbe pur sempre meno appeso ai numeri del secondo esecutivo guidato da Prodi, in cui il pallottoliere era di rigore per ogni questione di fiducia, così come tutti i notisti politici erano estremamente interessati agli spostamenti e alla salute di ogni singolo senatore, specialmente quelli più in là con gli anni.
Gabriele Maestri