Ma per Berlusconi il vero lodo è di Napolitano
Troppo concentrati su un lodo Violante che non ha ragione di chiamarsi tale da oscurare l’unico provvedimento di pacificazione politica offerto nel mese di agosto: il comunicato di ferragosto del presidente Giorgio Napolitano. Dimostrando di essere il primo a prendere sul serio la sua prescrizione di tenere slegati i fili della condanna giudiziaria per frode fiscale del leader della destra dal bisogno agli occhi della comunità internazionale di trovare una soluzione per far proseguire il governo Letta. Fornendo al presidente del Pdl un potere contrattuale ben maggiore di inizio legislatura. Il messaggio è andato perduto: maliziosamente frainteso dalla fauna del Pdl, sia falchi che colombe immaginavano la cancellazione con un colpo di penna del Capo dello Stato di pena principale e interdizione. Poi è arrivato Violante e nel canale inaridito dell’Italia ancora berlusconizzata la sete di un salvacondotto o di una vendetta ha fatto prendere per l’oasi dell’impunità una modesta proposta di adire la Corte Costituzionale per sanzionare una volta per tutte la liceità del ddl Severino sull’incandidabilità dei condannati oltre i due anni. Che non permetterebbe a Berlusconi di scampare dalla decadenza: la Consulta è notoriamente avversa alle forzature interpretative del principio di eguaglianza e nel dubbio – in antitesi col famoso brocardo – non ha mai deliberato pro reo. Una sentenza favorevole, del resto, cambierebbe di poco i termini della questione: una volta superato lo scoglio del ddl anticorruzione scatterà comunque l’interidizione ricalcolata dal tribunale d’appello di Milano, plausibilmente entro dicembre. Al suo attuale seggio al Senato, Silvio Berlusconi dovrà rinunciare per almeno un anno, forse per tre. A ben vedere sarebbe per il suo tornaconto un danno contenuto. Per capirlo ci viene in soccorso l’intreccio fra le linee guida del Quirinale e le conseguenze sulla costruzione dell’agenda del governo.
Napolitano ha confermato che un leader carismatico – seppur gravato da una sentenza definitiva di colpevolezza – può continuare a guidare il suo partito, demandando direttamente al Cav. e al Pdl la scelta definitiva; ha negato di poter concedere la grazia motu proprio e che sarebbe sostanzialmente inutile, poiché non estinguerebbe né la decadenza né l’incandidabilità; quindi, ha indicato la strada maestra del rispetto della sentenza viatico all’ottenimento della riforma della giustizia.
Sempre mantenendoci su questo sentiero di analisi amorale e avalutativa si può intuire che questo potrebbe portare alla soluzione definitiva del conflitto politico-giustizia di Berlusconi ancora in corso: l’amnistia. Non fatta appositamente per togliere lui dai guai, piuttosto si inserirebbe in un provvedimento di clemenza nato da un altro fatto dimenticato nelle cronache dell’ultimo mese: l’intimazione della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo a ripristinare condizioni civili nei penitenziari italiani – sono richiesti almeno 9 metri quadri di spazio a testa, molto spesso l’area è inferiore a 3 –, risolvendo il problema del sovraffollamento di 30.000 detenuti rispetto alla capienza consentibile (7.000 sono stati liberati col decreto svuotacarceri). Entro la prossima primavera.
Ma se lo status giuridico del Cavaliere domina la discussione quotidiana non meno significativo è lo status politico acquisito. La trama si svela: l’equilibrio della tensione creato attorno alla sua sorte personale ha fatto sì che il Pdl fosse accontentato pienamente per via politica quasi a compensazione dell’impossibilità di trovare un vero lodo per risarcirlo giudiziariamente. Si spiegano così le vittorie sull’abrogazione – più immaginifica che sostanziale – dell’Imu sulla prima casa e l’impegno immediatamente succeduto dal premier Letta a mantenere inalterata l’aliquota Iva. Completare l’agenda fiscale in 100 giorni non era mai capitato a Berlusconi in 9 anni di guida del governo.
In questa centralità, che potrebbe conservare in virtù delle sue disavventure con la legge – il nodo dell’interdizione resterà in agguato – il congresso dell’alleato/rivale Pd verrebbe disputato nelle peggiori condizioni del terreno di gioco. La maggiore insidia l’avrebbe indubbiamente il favorito, Matteo Renzi impegnato nel riposizionamento a sinistra della sua immagine, molto delicato perché rischia di allontanarlo dalla capacità di attrarre i voti maggioritari, degli elettori convenzionalmente descritti come moderati. Per riaccaparrarsi spazio il pericolo oscillerebbe fra la demolizione del governo Letta troppo lascivo verso le istanze del centrodestra e lo stillicidio antiberlusconiano per il potere di condizionamento che continua ad esercitare un leader castigato da una sentenza per un reato grave. Il distacco avrebbe buone chances di trasformasi in un divorzio. A tutto beneficio, manco a dirlo, del Cav.