C’è un tema che contraddistingue l’attuale presidenza statunitense rispetto alle altre: è la battaglia contro l’aborto. Negli anni ’70, la sentenza Roe vs Wade ha sancito la legittimità dell’interruzione della gravidanza a livello federale, lasciando ai singoli stati la discrezionalità di legiferare sui limiti temporali e psicofisici della pratica, senza però poter abolirla. Un esempio è il caso di New York dove il Governatore Andrew Cuomo, Democratico, ha approvato nel 2019 il Reproductive Health Act, consentendo alle donne di poter abortire dopo la ventiquattresima settimana se e solo se non ci sono segni di vita del feto o se la salute psicofisica della paziente è in pericolo. E poi c’è l’Alabama della Governatrice Kay Ivey, Repubblicana: il suo Human Life Protection Act, approvato anch’esso nel 2019, restringe di molto le opzioni per chi vuole o deve ricorrere all’interruzione della gravidanza.
Il Presidente Donald Trump non ha mai nascosto le sue simpatie per il mondo pro-life. È stato il primo inquilino della Casa Bianca a partecipare alla marcia per la vita che si tiene da quasi cinquant’anni a Washington D.C., tenendovi anche un discorso; un appoggio non solo simbolico: nel 2017 ha rinsaldato le posizioni presidenziali contro l’aborto varando un ordine esecutivo noto come Mexico City Policy, minando i finanziamenti delle Organizzazioni Non Governative che direttamente o indirettamente si schierano a favore della libertà di scelta della donna, favorendole informazioni oppure la consulenza medica per arrivare all’interruzione della gravidanza. Una scelta che nel dibattito politico ha fatto molto discutere, soprattutto perché è seguita dalla rinuncia della più importante organizzazione pro-choice, Planned Parenthood, lo scorso anno, ai fondi federali destinati alle attività connesse all’aborto. Il motivo è piuttosto semplice: il requisito fondamentale per accedere a quei finanziamenti è la giustificazione dell’interruzione, che deve ricadere sotto specifiche categorie rispondenti alla necessità e all’urgenza. L’aborto, per l’amministrazione Trump, non può essere uno strumento di pianificazione famigliare.
“Ogni bambino è un dono prezioso di Dio e ogni persona merita di essere protetta perché è fatta a immagine di Dio onnipotente” Donald Trump, 24 gennaio 2020, Washington D.C.
Al contrario, l’obiettivo del Presidente è uno soltanto, per altro a questo punto abbastanza esplicito: ridurre le possibilità del ricorso all’aborto, rendendolo di fatto una pratica inutile. Certo non può agire dall’oggi al domani emanando un ordine esecutivo che la renda illegale a livello federale, ritornando per molti versi prima della sentenza Roe vs Wade accennata all’inizio. Trump sta lavorando di fino, gira attorno al problema e studia la strategia migliore perché l’aborto e i suoi sostenitori ne escano alla fine sconfitti. Nel 2018 ha dichiarato il 22 gennaio come Giornata Nazionale per la Santità della Vita Umana: “ogni vita” ha dichiarato il Presidente “è sacra, ciascuna persona ha la propria dignità […] e nessuna classe può essere etichettata come inumana“. La morte del Giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg è stata ed è ancora un’opportunità d’oro per l’attuale amministrazione: con un giudice in meno tra gli scranni del tribunale più alto degli Stati Uniti, ricordando soprattutto della sua appartenenza al Partito Democratico e del suo orientamento progressista, le possibilità per agire da parte di Pennsylvania Avenue sono pressoché illimitate.
E non è solo la nomina di Amy Coney Barrett come nuovo Giudice, rinomata giurista e avvocata cattolica, sposata, con cinque figli naturali e due adottati, pro-life e di stampo conservatore, nomina che verrà discussa e molto probabilmente anche confermata al Senato; ma anche la promulgazione dell’ultimo ordine esecutivo, datato 25 settembre 2020, volto a impegnare il governo federale a preservare la vita di tutti i bambini fin dalla nascita. E in quanto cittadini statunitensi, tutelati dalle leggi e dalle istituzioni americane. Lato sensu, è lampante l’obiettivo: arrivare a definire il feto “persona” e dunque porre l’aborto sotto una luce diversa. Non più un diritto della donna, ma una conclusione innaturale della vita di un individuo innocente, beneficiario anch’egli del diritto alla vita e alla protezione della stessa da parte del governo. Un ragionamento alla Thomas Hobbes con cui conquistare gli elettori più conservatori mantenendo fede alle diverse dichiarazioni fatte nel corso degli anni, considerando tra l’altro il numero sempre più crescente di statunitensi favorevoli a limitazioni, se non in casi più estremi alla delegittimazione, nelle interruzioni di gravidanza. Suggestione che non riguarda soltanto il mondo antiabortista ma anche quello pro-choice. Di qui, una lecita domanda: che Washington stia per affrontare una revisione parziale o totale della Roe vs Wade?