La settimana scandinava tra sondaggi, riforme ed elezioni
Nel frattempo, il governo ha presentato il suo piano per la crescita, che prevede una ulteriore contrazione delle spese statali. “Riforme e cambiamenti possono essere dolorosi” ha dichiarato il premier Katainen, mentre accanto a lui il ministro delle Finanze Jutta Urpilainen spiegava come la priorità sia preservare lo stato sociale e creare nuovi posti di lavoro. A costi fatti, però, qualcosa nel welfare finlandese viene rimodellato: sono stati rivisti i congedi, ad esempio, e sono state ritoccate al ribasso le prestazioni per gli studenti. Il pacchetto arriverà in Parlamento in autunno.
Anche in Danimarca si discute di leggi di bilancio. E l’opposizione di centrodestra ha già detto con chi non intende dialogare. Con una lettera pubblicata sul Berlingske Tidende sul finire della scorsa settimana, Lars Løkke Rasmussen (leader dei Liberali), Kristian Thulesen Dahl (leader del Partito Popolare Danese), Anders Samuelsen (leader dell’Alleanza Liberale) e Lars Barfoed (leader dei Conservatori) chiudono le porte a una qualsiasi collaborazione con l’Alleanza Rosso-Verde, partito di sinistra che fornisce appoggio esterno al governo della laburista Helle Thorning-Schmidt.
“La Danimarca ha bisogno di più posti di lavoro nel settore privato”, “più giovani nei corsi di formazione”, “la Danimarca ha una tassazione troppo elevata”, “la Danimarca è quasi in recessione”: questo il tono dell’intervento pubblicato dal Berlingske Tidende, un intervento che traccia una linea nettissima tra il centrodestra e l’Alleanza Rosso-Verde.
Va bene una collaborazione con il governo ma non si può scendere a patti con il partito guidato da Johanne Schmidt-Nielsen, dicono in coro Rasmussen, Thulesen Dahl, Samuelsen e Barfoed. “Ogni volta che l’Alleanza Rosso-Verde partecipa ai negoziati col governo” si legge in coda all’intervento sul Berlingske Tidende, “i costi per i danesi aumentano”.
Solo una decina di giorni fa, il Politiken aveva scritto che la maggioranza dei danesi vorrebbe che laburisti e conservatori lavorassero insieme per arrivare a un accordo condiviso sulla legge di bilancio.
L’Islanda invece è alle prese con il pressing di Bruxelles, che qualche giorno fa è tornato a chiedere all’isola di fare chiarezza sul destino dei colloqui per l’adesione all’Unione europea, ormai da mesi in stallo. La melina del governo di Reykjavík non piace alla Commissione. Intanto emerge che la maggior parte degli islandesi vorrebbe concludere i colloqui con Bruxelles: a pensarla così è il 53 per cento della popolazione. Se l’esecutivo dovesse dar retta a questi numeri, a quel punto la materia finirebbe quasi certamente sotto referendum.