Silvio Berlusconi, si sa, ha una vera e propria ossessione per i videomessaggi. I meno giovani ricorderanno ancora il famoso incipit “L’Italia è il paese che amo” con il quale il Cavaliere annunciò la propria discesa nell’agone politico. Era il 1994. Una vita fa.
In questi 19 anni ci sono stati così tanti cambiamenti a livello globale che sarebbe impossibile riportarne anche solo un decimo in questo articolo. Eppure la costante dei videomessaggi ritorna, ciclicamente.
Pare infatti che il leader del Pdl, a causa delle mancate aperture del Pd in vista del voto sulla decadenza, si sia deciso ad aprire la crisi di governo e abbia già pronto un videomessaggio, come ai bei tempi di Forza Italia (che infatti sta tornando).
La registrazione servirebbe per spiegare alla Nazione i motivi della crisi, attaccare la magistratura politicizzata, annunciare la rinascita del partito azzurro al posto di un Pdl “che non emoziona” e invocare il ritorno alle urne “contro tutto e contro tutti”, per una “nuova rivoluzione liberale”.
Secondo i “falchi” l’ex premier avrebbe dovuto lanciare la bomba già questa settimana, anticipando così la riunione della giunta per le immunità del Senato, prevista per lunedì 9 settembre. Tuttavia un intervento in extremis delle “colombe” ha scongiurato lo showdown, convincendo Berlusconi ad aspettare almeno fino all’inizio della prossima settimana.
“Silvio, se tu rompessi prima, verresti dipinto come il nemico del popolo e ti assumeresti la responsabilità della caduta del governo senza averne alcun vantaggio, perché Napolitano non ti farebbe mai votare in autunno”, queste le argomentazioni che i capogruppo del Pdl Schifani e Brunetta hanno speso per frenare l’ira funesta del Cav.
Di conseguenza si è deciso di affidare al relatore nella Giunta, il senatore Andrea Augello, un ultimo tentativo di mediazione con il Pd: non tanto per avere il voto dei dem a favore della permanenza di Berlusconi (cosa ritenuta impossibile) ma piuttosto la concessione, al leader del centrodestra, di appellarsi alla Corte di giustizia europea per sfuggire al cappio della legge Severino che ne decreterebbe l’incandidabilità per i prossimi sei anni. Mediazione difficilissima, quasi impossibile.
Dal Nazareno, infatti, emerge la conferma della linea dura: il Partito democratico non intende fare sconti a Berlusconi, anche per dare un segnale al proprio elettorato.
“Non si può stare a letto con il nemico”, dice Berlusconi per giustificare la crisi. Il problema è che non è affatto detto che un ritorno alle urne decreterebbe una sua vittoria. Ai molti sostenitori di un Cavaliere leader “dal salotto di casa” si dovrebbe rispondere che la posizione dell’ex premier non è delle migliori neanche stando seduto sui divani di Arcore, se si pensa che persino per un’intervista dovrebbe chiedere l’autorizzazione ad un magistrato.
Conviene , dunque, al Pdl, che ora ha cinque ministri e sta al governo, far cadere l’esecutivo? Sono sicuri, i vari Capezzone, Santanchè, Verdini e Biancofiore, che basta un ritorno a partito, simboli e slogan di 20 anni fa per vincere le elezioni? Sono sicuri che un Cavaliere ultrasettantenne, condannato in via definitiva per un reato gravissimo come la frode fiscale abbia la forza, mentale e fisica, di condurre una campagna elettorale contro Matteo Renzi e Beppe Grillo?