Kenya: una…. nobile battaglia di giustizia
Kenya: una nobile… battaglia di giustizia
Il parlamento del Kenya è impegnato in una nobile battaglia di giustizia. Sta dibattendo in seduta straordinaria una mozione che prevede la revoca della partecipazione del paese allo Statuto di Roma e alla Corte Penale Internazionale.
Il motivo è che la Corte accusa il presidente del Kenya, Uhru Kenyatta, e il vice presidente, William Ruto, di crimini contro l’umanità per aver organizzato e favorito le violenze post-elettorali che nei primi mesi del 2008 in Kenya causarono oltre 1100 morti e oltre 600.000 sfollati.
I due erano già accusati al tempo delle recenti elezioni, pochi mesi fa, e il Kenya è l’unico paese al mondo ad avere eletto un presidente e un vice sul cui capo pendeva già una accusa per crimini contro l’umanità. Se il parlamento approverà la fuori uscita dalla Corte il Kenya sarà il primo paese a disconoscere la propria adesione alla Corte.
Tutto questo avviene in un processo e in un contesto in cui c’è un parlamento totalmente sdraiato sulle volontà di presidente e vice presidente, una situazione politica totalmente concentrata a difendere due personaggi indifendibili, a fronte di un paese che ha ben altri problemi.
Anche dal punto di vista diplomatico la vicenda crea grossi problemi. Kenyatta e Ruto avevano promesso in campagna elettorale che avrebbero portato prove per essere scagionati e che comunque si sarebbero sottoposti al processo della Corte Internazionale. Hanno, ovviamente, cambiato idea e il dibattito in parlamento lo dimostra.
Uno degli argomenti portati dai difensori dei due incriminati è che la Corte agisce con un certo razzismo e accusano la Cpi di perseguitare i leader africani senza occuparsi di crimini commessi da stati in altre parti del mondo. A suffragare l’accusa, secondo Kenyatta e Ruto, il fatto che otto processi su otto in corso all’Aia riguardino imputati del continente.
Un argomento meschino che è, al contrario, invece il motivo per il quale il Kenya sta ricevendo l’appoggio di alcuni presidente africani che si trovano negli stessi guai (vedi il sudanese Omar Al Bachir) o di quelli che potrebbero in futuro trovarsi nelle stesse condizioni (e qui la lista potrebbe essere lunga) e di conseguenza, preventivamente, annunciano la loro posizione.