Quando torneremo a votare?
Lo schema è sempre il solito. Oramai potremo chiamarlo “schema Berlusconi IV” (sulla falsariga dello schema Ponzi?): la maggioranza alla Camera è risicata. Quindi spesso va sotto a Montecitorio. Il provvedimento si blocca. Il governo pone la fiducia su quello stesso provvedimento. Berlusconi ottiene quei 316-317 di fiducia…e passa la paura!
[ad]A suo tempo lo segnalammo. La situazione di Berlusconi, rispetto a quella prodiana dal 2006 al 2008, non è critica. E’ drammatica, seppur stemperata e arginata da un’acuta “campagna acquisti” e dal sapiente lavoro di contabilità dell’ex macellaio repubblicano Denis Verdini. E’ drammatica perché è molto più difficile gestire una maggioranza risicata alla Camera rispetto ad un’analoga maggioranza al Senato. Un’assemblea di 630 membri e molto più pletorica e sfuggevole di 315 over 40.
E tra l’altro nel Popolo delle Libertà è sempre emerso un problema politico col gruppo alla Camera e Berlusconi non ha mai esitato a definire il presidente dei senatori Maurizio Gasparri molto più abile nel suo lavoro rispetto all’omologo di Montecitorio Fabrizio Cicchitto. In barba a qualsiasi logica di appartenenza passata a Forza Italia e in barba a qualsiasi rapporto privilegiato, o riconoscenza politica, nei confronti della figura di Bettino Craxi.
La bocciatura del rendiconto del bilancio alla Camera ripercorre questo schema di cui abbiamo parlato all’inizio. Ma ha aggravato la situazione perché si trattava di un provvedimento fondamentale per la politica economica dell’esecutivo e per il proseguo della legislatura.
Tanto che Napolitano, ricevendo Gianfranco Fini a seguito della bocciatura dell’assestamento di bilancio, ha dovuto evidenziare come fosse necessaria una verifica parlamentare per testare l’esistenza o meno di una maggioranza. Ma al tempo stesso si doveva individuare una modalità alternativa per portare a casa il tanto agognato rendiconto dello stato.
Quest’ultima considerazione procedurale del resto era quella che aveva portato, nel 1988, alle dimissioni di Giovanni Goria. Quell’esecutivo perse alla Camera per ben quattro volte sul medesimo provvedimento e ciò portò Goria di sua spontanea volontà a rassegnare dimissioni.
Un paragone abusato quello di Goria di 23 anni fa, e su cui molto spesso si è scivolati nella categoria delle generalizzazioni.
Le differenze sono sostanzialmente due e riguardano anche in questo caso un aspetto procedurale (che aggrava la situazione dell’esecutivo) e un aspetto politico (che invece sembra “salvare” Berlusconi, o comunque assume toni più indulgenti): il problema procedurale odierno sta nel fatto che è stato respinto l’articolo 1 dell’assestamento di bilancio. Di conseguenza non si può procedere con un regolare iter parlamentare perlopiù nell’aula di Montecitorio. Ecco perché l’espediente tecnico trovato per bypassare questo critica situazione consiste nel rimandare il tutto a Palazzo Madama, e aspettare sei mesi prima di un ritorno del provvedimento a Palazzo Chigi. Con tutto ciò che ne consegue per la regolarità della politica economica del governo.
La questione politica invece è meno critica per Berlusconi. Nel senso che lo stesso Napolitano ha detto che da parte sua non c’era alcun obbligo di dimissioni, bensì solo di avviare una forma di verifica parlamentare. Sulla falsariga dell’allargamento ai Responsabili culminato col drammatico voto di fiducia del 14 dicembre, da molti considerato un vero e proprio spartiacque per la politica italiana.
Tra l’altro sappiamo bene, anche se in molti a quanto pare non hanno ancora compreso a pieno il “fenomeno Berlusconi”, che il nostro premier tende a rassegnare le dimissioni solo a seguito di atti formali che lo costringono a farlo. E non bada ad alcuna sconfitta sostanziale. Una bocciatura come quella di martedì dunque non poteva certo impensierire un personaggio di questa stoffa.
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