Lunedì prossimo la Norvegia andrà al voto: urne aperte in un paese che da otto anni è guidato dal centrosinistra. Secondo i sondaggi, il governo del premier laburista Jens Stoltenberg è destinato ad essere sconfitto. I conservatori sono da mesi i grandi favoriti, ed Erna Solberg, leader del partito della Destra, è pronta ad assumere la guida dell’esecutivo che verrà.
Nonostante sia dato per spacciato da un annetto, il partito laburista è riuscito lo stesso a monopolizzare le ultime settimane di campagna elettorale. Possibile (per molti probabile) che alla fine saranno ancora i socialdemocratici la principale forza politica del paese. I voti lasciati per strada però sono tanti. Dopo il 35,4 per cento del 2009, il partito dovrebbe posizionarsi intorno al 30 per cento.
Peggio stanno gli altri due alleati di governo. Il Partito di Centro dovrebbe collocarsi tra il 4 e il 5 per cento, mentre il Partito della Sinistra Socialista vive l’incubo di restare fuori dal Parlamento. Nessuno è pronto a scommettere due soldi sulla vittoria dei rosso-verdi: il prossimo esecutivo sarà quasi certamente di colore diverso.
Eppure la Norvegia governata per otto anni dai laburisti è un paese che ha navigato bene nei marosi della crisi economica. Gran parte del merito va dato alle ricchissime risorse energetiche di cui il paese dispone, ma il centrosinistra ci tiene a veder riconosciuti i propri meriti: “Abbiamo limitato l’uso dei proventi del settore petrolifero attraverso un tetto alle spese, e quando la crisi finanziaria è arrivata anche in Norvegia avevamo risorse da poter utilizzare” ci ha spiegato Raymond Johansen, segretario del Partito Laburista norvegese.
Risultato: economia in salute, conti pubblici in regola, disoccupazione al 3,3 per cento. Se i rosso-verdi hanno una carta forte da mettere sul tavolo, quella carta è l’economia. E la stanno giocando con insistenza. Da mesi il centrosinistra ripete che un esecutivo conservatore porterebbe la Norvegia in tutt’altra direzione: diseguaglianze sociali, incertezza economica, welfare più povero.
Destra e Partito del Progresso propongono tagli fiscali, meno burocrazia e un mix di pubblico e privato per la sanità e la scuola . Ma nulla di tutto questo, dicono, provocherebbe il ‘disastro sociale’ paventato dal centrosinistra.
“Più della metà della popolazione del paese vive in comuni governati dalla Destra e queste persone sanno che non metteremo l’economia o il welfare a rischio” ci ha detto Jan Tore Sanner, numero due dei conservatori. Altrettanto dura Siv Jensen, leader del Partito del Progresso: “Non abbiamo certamente intenzione di ‘devastare’ lo stato sociale, al contrario nelle nostre proposte di bilancio statale proponevamo di dare più soldi alle scuole e alla sanità di quanto non faccia il governo”.
Le distanze tra i due schieramenti si allargano quando si parla del Fondo petrolifero: quanto denaro prelevare? “La cosa più importante è riuscire ad avere una maggiore indipendenza dall’industria petrolifera” spiega Trond Enger, segretario del Partito Liberale.
La Destra si dice favorevole a utilizzare più risorse del Fondo per migliorare le infrastrutture, alleggerire il carico fiscale, incentivare i settori della ricerca e dello sviluppo. Siv Jensen vorrebbe spacchettare il Fondo per moltiplicare gli introiti e far confluire più denaro in campo economico e sociale. Tutte ipotesi che non piacciono al centrosinistra: “Il Partito del Progresso ha fatto capire di non voler rispettare il tetto di spesa sul Fondo petrolifero” dice Raymond Johansen, “e questo condizionerà le politiche economiche”.
A guardare i sondaggi, però, i norvegesi non sembrano per niente spaventati all’idea di essere governati dal centrodestra, anzi: c’è una gran voglia di facce nuove. Molti analisti sottolineano come stia giocando un ruolo decisivo la voglia degli elettori di portare un po’ d’aria fresca nelle stanze del potere dopo otto anni di centrosinistra. Solberg lo sa, tanto da ripetere spesso che non farà rivoluzioni.
La Destra inoltre appare un serio interlocutore di governo. Merito delle strategie adottate negli ultimi anni. Dopo il 14,1 per cento alle elezioni del 2005, il partito della Solberg ha cambiato rotta vestendo i panni della principale forza politica nello schieramento conservatore. Ormai la Destra rappresenta un’alternativa, tanto da aver ‘rubato’ elettori proprio ai socialdemocratici: da mesi è intorno al 30 per cento, anche se probabilmente lunedì si fermerà un po’ prima.
Erna Solberg, poi, è vista come un primo ministro più che affidabile: negli indici di gradimento battaglia ad armi pari con Jens Stoltenberg, amatissimo in Norvegia.
Il Partito del Progresso, il più a destra nel panorama politico, dovrebbe invece perdere un bel po’ di voti rispetto alle elezioni del 2005 e del 2009 (22,1 e 22,9 per cento): secondo i sondaggi il partito oscilla tra il 16 e il 19 per cento. Ma questo non dovrebbe impedirgli di entrare per la prima volta nella sua storia a far parte di un governo.
Insomma la strada per il centrodestra appare tutta in discesa. A volte, però, le apparenze ingannano. Il vero rebus, infatti, sono le alleanze e la capacità, per la Solberg, di riuscire a costruire una coalizione di governo.
La Destra ha sempre detto di volere formare un esecutivo con il Partito Liberale, il Partito Cristiano Popolare il Partito del Progresso. A quest’ultimo però non piace l’idea di avere in casa i due piccoli alleati di centro, così come ai due piccoli alleati di centro non piace il Partito del Progresso.
“A causa delle sostanziali differenze che ci sono tra noi e il liberista Partito del Progresso abbiamo detto che riteniamo improbabile entrare in un governo insieme a loro” ci diceva qualche settimana fa Knut Arild Hareide, leader del Partito Popolare Cristiano, “ma non lo escludiamo a prescindere. Noi preferiamo far parte di un esecutivo con la Destra e il Partito Liberale”.
Ancor più netto il liberale Enger: “Le differenze tra Partito Liberale e Partito del Progresso sono tante” – anche se negli ultimi giorni i liberali hanno fatto un passo indietro, aprendo alla possibilità di entrare nell’esecutivo pur senza i cristiano popolari. Per mesi le dichiarazioni erano state di segno opposto.
In una situazione del genere, tutti i partiti aspettano di vedere quale sarà il peso elettorale di ciascuno. Nel frattempo molti norvegesi stanno virando verso altri lidi politici, spaventati dall’idea di una maggioranza conservatrice a conti fatti incapace di lavorare insieme: una dinamica che sposterà qualche equilibrio ma non l’esito finale, considerato che tutti e quattro i partiti di centrodestra vogliono un cambio di governo.
Ma chi farà parte di questo governo? L’architettura costituzionale della Norvegia rende la situazione più incerta da un lato e più semplice dall’altro. A Oslo vige infatti il parlamentarismo negativo: un governo può entrare in carica senza dover passare lo scoglio di un voto di fiducia del Parlamento, e rimane al potere fin quando non viene sfiduciato.
Ciò significa che il premier incaricato non dovrà andare alla ricerca di appoggi parlamentari per avere un seggio in più degli avversari. È il presupposto costituzionale che consente la nascita di un governo di minoranza.
Dopo il voto, risultati alla mano, il re darà il mandato per la formazione di un nuovo esecutivo. Dando retta ai sondaggi, toccherà a Solberg trovare gli incastri. Probabile che proverà fino all’ultimo a dar vita a una coalizione a quattro: sarà più difficile trovare un accordo sulla piattaforma di governo, ma avere in squadra liberali e cristiano popolari potrebbe servire alla Destra per smussare gli angoli più spigolosi della politica del Partito del Progresso, ad esempio sull’immigrazione.
“Se anche qualcuno dovesse rimanere fuori dal governo”, ha dichiarato un paio di giorni fa Solberg al quotidiano Aftenposten, “dovremo lo stesso assicurarci che tutti abbiano influenza sulle scelte che verranno fatte”. Vale a dire: resta in piedi la possibilità dell’appoggio esterno. Le ipotesi si moltiplicano.
Se l’esito delle elezioni è probabilmente scontato, quello che accadrà dopo il voto è ancora tutto da vedere.