Cambio di fronte della politica dell’Australia: i conservatori di Tony Abbott hanno vinto infatti le elezioni raggiungendo 81 seggi, cinque più del numero che occorre per avere la maggioranza. I laburisti sono molto più lontani e devono accontentarsi di 52 seggi.
Già un quarto d’ora dopo che i risultati erano stati resi noti, il primo ministro uscente Kevin Rudd ha ammesso la sconfitta.
Rudd però ha dimostrato di non avere perso sportività e senso dell’umorismo quando i suoi sostenitori, riuniti nella sede del partito laburista, gli hanno tributato l’onore degli applausi: «Cavolo, pensavo che avessimo perso» ha scherzato. Certamente più serio dev’essere stato il colloquio telefonico con il suo antagonista Abbott, durante il quale gli ha riconosciuto la vittoria.
L’esito elettorale in Australia, tuttavia, non è arrivato come una sorpresa per elettori e analisti politici: nelle ultime settimane, infatti, era stato ampiamente previsto il successo della coalizione dei liberali e del National Party.
Questo benché Abbott non sia affatto una figura nuova (ha fatto per undici anni il ministro nei governi di John Howard e nel 2009 è passato alla guida dei liberali) e, soprattutto, fino a poco tempo fa fosse poco amato, perché ritenuto piuttosto “estraneo” agli abitanti dell’Australia: egli infatti è cattolico, nato a Londra, si è formato a Oxford, è cattolico e ha sfoderato toni aggressivi cui gli elettori australiani non sembrano particolarmente abituati.
I laburisti invece sarebbero stati vittime delle loro liti interne, punite dal voto popolare: in particolare non sarebbe stata apprezzata la diatriba tra il primo ministro uscente Rudd e colei che l’aveva preceduto, Julia Gillard. I due si erano sfiduciati a vicenda all’interno del partito, provocando il loro avvicendamento sulla poltrona da primo ministro. Per molti politici e commentatori, l’avventura politica di entrambi è davvero finita e ora toccherebbe a nuove generazioni occupare il loro posto.
Gabriele Maestri