Fight Club: quando libro e film vanno a braccetto
“La prima regola del Fight Club è che non si parla del Fight Club”. Ma quando si tratta di capolavori, impossibile non fare un’eccezione.
Soprattutto poi, se sia i lettori più curiosi sia i cinefili hanno pane per i loro denti: nel 1996 Chuck Palahniuk dà alla luce il romanzo, tre anni dopo David Fincher è alla regia del film che darà allo scrittore americano la dovuta fama.
Un caso più unico che raro, quello di “Fight Club”: un travagliato iter di pubblicazione, una mediocre notorietà all’uscita del libro ma, grazie ad una regia a dir poco impeccabile e ad un cast con nomi quali Brad Pitt ed Edward Norton, un best seller del secolo scorso. E il plauso per la totale riuscita del film va di pari passo con lo stupore nel vedere una trama così intricata. prendere vita.
Quando Fincher ha preso le redini dell’impresa cinematografica, infatti, la riuscita non era affatto scontata: la materia da trattare era tutt’altro che immediata e lo stile criptico e minimalista dell’autore non poteva che essere un ostacolo in più. Ma era impossibile per il regista, come per chiunque dia anche solo un’occhiata al formato cartaceo di “Fight Club” , non sentire, tra le pagine, la voce di Palahniuk che urla un messaggio: il consumismo porta all’alienazione e l’uomo alienato o è assente o è violento.
Quello che più impressiona è il fatto che l’autore renda tangibili questi concetti del tutto astratti descrivendo l’alienazione come se fosse personificata, narrando scene di lotta da cui il lettore può estrapolare, nella sua purezza, l’Idea di violenza. E se siamo tutti figli del consumismo, il protagonista, che parla in prima persona, non poteva che essere anonimo. Tutto questo reso con uno stile crudo ma magistralmente controllato, che riflette la meccanicità dei pensieri umani.
Il problema però è che, anche cercando tra le file dei lettori più attenti, è difficile trovarne qualcuno che non abbia bisogno di leggere l’intero romanzo un’altra volta, per poter dire di averlo capito del tutto.
Ed ecco allora che entrano in scena i fratelli Lumière, e tutto si fa più chiaro.
Finalmente, si può scampare al solito cliché del “sì, bel film ma il libro è tutta un’altra cosa” e dare a Cesare quel che è di Cesare: Palahniuk ha inventato una storia geniale, David Fincher e il suo cast hanno capito come si chiama il personaggio anonimo e hanno fatto sì che tutti noi guardassimo, sul grande schermo, la storia di cui siamo protagonisti.
Cecilia Lazzareschi