La candidatura ufficiale di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico ha avuto il paradossale effetto di chiudere una pagina della storia del PD che ancora si faticava ad aprire.
È infatti innegabile come la popolarità del sindaco di Firenze sia oggi estremamente alta, soprattutto rispetto a tutti gli altri candidati alla segreteria.
Al di là delle reali posizioni politiche di Renzi, al di là persino della sua fama di rottamatore, è oggi l’immagine vincente che accompagna il giovane sindaco ad aprire la strada verso una sua probabile vittoria alle primarie: Renzi viene percepito come l’ultimo e l’unico leader vincente, l’ultima risorsa per un elettorato che non ci sta più a perdere un appuntamento elettorale dopo l’altro.
La mancata vittoria elettorale di febbraio e il rospo dell’alleanza forzosa con il PdL sono ferite ancora aperte nell’elettorato dem, sulle cuali viene versato sale ad ogni decisione impopolare, ad ogni cedimento nei confronti dell’alleato berlusconiano, ad ogni remissività, ad ogni allontanamento dal proprio programma elettorale e dalla propria ideologia.
La forza e la popolarità della candidatura di Renzi sono misurabili anche dal numero di sostegni ricevuti dall’attuale dirigenza del partito, che con una mossa tipicamente italiana cerca di ritagliarsi uno spazio all’ombra del prossimo, probabile, vincitore.
Non stupiscono quindi più di tanto i recenti endorsement che il sindaco ha ricevuto da Veltroni e addirittura da Fioroni e Franceschini, ma di certo non possono lasciare indifferenti, se si pensa come questi stessi personaggi – assieme ad altri che nei giorni scorsi hanno espresso il proprio appoggio al sindaco di Firenze – abbiano attaccato Renzi prima, durante e dopo il periodo delle primarie per la Presidenza del Consiglio perse contro Pierluigi Bersani.
Conversione di massa al renzismo dunque?
Viene difficile crederlo. Semmai salto sul carro del – quasi – sicuro vincitore. Più di una punta di veleno contengono infatti le parole di Dario Franceschini:
Se come ha detto in questi giorni, Matteo Renzi lavorerà per innovare e unire, e non per dividere, sono pronto a votare per lui.
Come si misura l’unità del partito? In questa breve definizione si possono aprire praterie sterminate, ma non sono pochi a pensare che il messaggio in codice di Franceschini a Renzi sia un’adeguata rappresentazione della sua corrente nei futuri assetti del PD.
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Poco importa che il rottamatore si sia schierato apertamente contro le correnti. Poco importa che Veltroni e Fioroni siano tra i dinosauri che egli ha apertamente dichiarato di voler portare all’estinzione. Le professioni di sostegno e fedeltà alla nuova stella del partito paiono superare di slancio le passate divisioni, le offese reciproche, anche le differenti posizioni politiche, tema che dovrebbe essere il principale in un congresso e che invece resta ampiamente staccato rispetto a valutazioni di aspetto più tattico volto alla conquista di influenza interna.
In questo gioco di rovesciamento delle parti, ecco che diventa quasi lecito pensare che i veri amici di Renzi siano tra coloro che si professano suoi avversari, Bersani e D’Alema, e che gli appoggi di Franceschini, Veltroni e Fioroni siano invece un modo per bruciare il sindaco di Firenze: non è infatti pensabile che costoro ignorino l’effetto negativo del loro appoggio in termini di consenso popolare alle primarie, né che non vedano di aver messo lo stesso Renzi in una situazione oggettivamente complessa.
Il sindaco di Firenze si trova infatti esposto ad un bivio in cui ogni strada presenta cali di popolarità: un lose-lose in cui si può solo scegliere il male minore. Renzi rinnegherà la sua verve rottamatrice accettando il sostegno ufficiale delle correnti AreaDem e popolare, esponendosi all’attacco di essere ormai assimilato a chi professava di voler combattere? Oppure proseguirà nella sua corsa solitaria contro tutto e tutti, alla conquista del PD contro lo stesso PD, ma esponendosi così all’accusa di essere un semplice distruttore, di rifiutare le offerte di pace e collaborazione e di voler trasformare i Democratici in un partito personale?
Appoggi avvelenati, dunque, ad un Renzi che oggettivamente è preso di mira dal suo stesso partito in maniera del tutto sproporzionata; questo ben al di là delle divergenze politiche con chi si professa più di sinistra, perché è evidente come sia proprio la componente più moderata a lanciare messaggi dal valore ambiguo.
La realtà è che Renzi oggi si trova a di fronte un’agguerrita classe dirigente che combatte per la propria autoconservazione, che è disposta a sacrificare la propria ideologia, le proprie convinzioni e in ultima analisi l’elettorato di cui ha professato di farsi portavoce per sopravvivere un giorno di più.
Ed è proprio per questo che Renzi, che dal rinnovamento ha tratto la propria forza, dovrebbe dare la spallata finale, facendo crollare i potentati di tessere e interessi occulti presenti nel partito, per poi tentare un’opera di ricostruzione, nella quale sarà la dialettica politica e non l’appartenenza ad una corrente a segnare le differenze tra candidati.
La semplice idea della presenza di un Fioroni alle spalle di Renzi toglierebbe al sindaco di Firenze buona parte delle sue ragioni di consenso e appoggio,e ogni giorno che passa senza una presa di posizione netta in tema gli toglie una frazione di credibilità.
Il Congresso PD, dunque, rischia di essere un capitolo, se non completamente aperto, forse un po’ meno chiuso di quanto si potrebbe pensare.