Dal Blog: A proposito di TAV e di violenza
Magistrale Luca Bottura
Pensavo questo, no?
Pensavo che nonostante il mio pane venga dalla satira, che è per forza di cose estrema, faziosa, talvolta aggressiva, gli ultrà – con qualche amichevole eccezione – mi stanno abbastanza sui coglioni.
Quelli del Bologna, tendenza fascionostalgica, mi hanno omaggiato di una scritta minacciosa davanti allo stadio. E mio figlio è molto orgoglioso: certi nemici, molto onore.
Gli juventini scassano spesso la minchia, ma smettono appena scrivi una cazzata sul Milan. Allora rompono quelli del Milan. Finché non ne fai una sull’Inter. Allora… no, gli interisti no. Sono un po’ il Pd del calcio: incassano tutto, sono abituati alla sofferenza.
I grillini, poi. I grillini si arrabbiano perché il verbo è intangibile. Sempre meno, in verità. Adesso le loro ragioni hanno smesso di urlarle, in molti, persino sui Social. Ma continueranno a votare Peppe, magari vantandosi un po’ meno, trollando un po’ meno. Perché da Silvio, a Benito, a Giulio, a Gianroberto, l’italiano certe passioni se le tiene un ventennio almeno.
E poi ci sono i No Tav.
Che poi io mica sono a favore della Tav, specie quella verso Lione. Ma penso che nella frase “Tav in Italia” la parola sbagliata non sia “Tav”, sia “Italia”. Se non fosse per gli appalti a cazzo, con Don Ciccio già pronto a intercettare la commessa. Se non fosse per le gallerie fatte costruire a chi manco lo so, ora, ma temo di scoprirlo tra vent’anni in un’inchiesta. Se non fosse perché è un’idea di Silvio e che l’appoggia molta gente indifendibile, se non fosse per mille altri motivi ambientali che mi spingono al no, direi: cazzo, è un treno.
Cioè, io non capisco niente, forse mi sbaglio, i giornali non li leggo tanto, ma mi pare che in Val Susa siano state da poco raddoppiate in ampiezza le gallerie autostradali. Ergo passeranno più Tir, dunque più merda. Come da sempre e per sempre. E non ricordo rivolte, per le autostrade più larghe.
Che poi manco è più Tav, no? E diventato un treno ad alta capacità. Cioè servirebbe alle merci. Ma fior di studi dimostrano che le merci non ci sono, non c’è la richiesta, che il corridoio è stato dismesso perché la Francia, la Slovenia, un po’ tutti, hanno mollato il colpo. E se non fosse per tutte le granitiche controindicazioni di prima, che ribadisco, che sposo, che difenderei fino alla morte, direi: ovvio che non c’è la domanda. E’ come non costruire una ciclabile perché tanto la gente non va in bici. Certo che non ci va: non ci sono le ciclabili. Questo direi, se non ci fossero Silvio, Lunardi, Fassino, Don Ciccio e compagnia cantante.
Però poi no, forse non lo direi. Perché ne so poco, davvero. Ma soprattutto perché sostanzialmente sono un pavido, un pigro. E a me di farmi fracassare i coglioni come è successo oggi, perché ho scritto che è un po’comodo fare i No Tav da un teatro, o dalle colonne di un giornale, magari spiegando che i reati sono giusti perché si oppongono ad altri reati, ecco, mica mi va.
Non mi va perché non mi appassiona la slabbrata e vetusta teoria dei cattivi maestri, anche se, è evidente, sul treno della contestazione è salita gente che farebbe fatica a trovare la Val di Susa, senza Google Maps. Ma ha altre (e legittime, figurarsi) aspirazioni.
Non mi va, anche se certa retorica intellettuale è proprio quella dei favolosi Seventies.
Non mi va, anche perché in questo curioso Paese, quella retorica (vogliamo chiamarla di estrema sinistra?), trova oggi la sua migliore interprete in Daniela Santanché, che l’altro giorno ha finalmente ammesso ciò che il Pdl – il più eversivo dei partiti – lasciava intendere da tempo. Cioè che c’è un bene superiore, nel suo caso il culo di Berlusconi, per cui il codice penale non esiste più. Ed è inutile aspettare il corso della magistratura per stabilire quali e quanti sono i reati, persino se a guidarla è quella risorsa dello Stato, cioè di tutti noi, di Giancarlo Caselli, che anche lui si prende dell’infame sui muri da quelli che osa indagare. Infame, lo stesso aggettivo di cui lo onoravano i mafiosi.
In attesa del prossimo Carlo Giuliani, e del prossimo Placanica. E qualcuno che vuole entrambi c’è sicuramente su tutti i fronti. Chissà che bello spettacolo teatrale, che bel libro ci verrebbe. Quanti bei talk show. Quante copie di Libero e il Giornale in più. E anche di là, anche di là.
Non mi va perché poi mi toccherebbe ricordare che la Tav l’hanno già fatta tra Bologna e Firenze, sventrando lo sventrabile, prosciugando fiumi, lasciando paesi senz’acqua, per guadagnare 7 fottuti minuti. Ma quando lo fai presente, chessò, ai fan di Casaleggio, beccato mentre va da Peppe a parlare contro la Tav sfrecciando a 300 all’ora in galleria, poi ti spiegano che no, quella è un’altra storia, mica è la stessa Tav, perché non vieni in Valle…
Ecco, no. Pensavo di non andare in Valle. Pensavo di continuare a ritenere, con la mia testolina bacata, che quella Tav lì sia sbagliata e inutile per i fattori di cui sopra, tutti sacrosanti, tutti giusti, tutti intangibili. E che quei motivi, ampiamente rappresentati in parlamento, potevano già essere un disegno di legge, perché c’è un partito col 25 per cento che aveva tutti gli strumenti per agire.
Invece stanno a campeggiare sui tetti, cazzo, invece di essere al governo. Per difendere la democrazia, loro, in un partito che paga la Siae a Kim Jong Un.
Pensavo a tutte queste cose, con pacatezza, rispetto, quasi affetto per la battaglia contro quel treno (perché è un treno, cazzo) nonostante, come ho già detto, e giuro che era una battuta, a ogni gigantesca scritta sui muri, spesso scelti tra le case più povere, come se le abitazioni popolari non avessero diritto a un po’ di bello e a un po’ di decoro, mi verrebbe da andare ad aggiungere personalmente una traversina.
Perché in verità no: io sono profondamente, fieramente, immarcescibilmente contro la Tav in Val di Susa (e sul Garda, e ovunque ci sia qualcuno che ha un motivo fondato per non volerla, così come era sacrosanto non volere i viadotti dell’A1 negli anni ’60) ma fatico a condividere questa battaglia con chi usa i propri megafoni culturali per opporre l’illegalità bohemienne all’illegalità dei poteri forti.
Lo Stato si cambia, non si abbatte.