Le cronache relative al “caso Berlusconi” mostrano da settimane il Pdl impegnato in una difesa totale e acritica del suo leader e fondatore, per evitare in ogni modo la sua decadenza da senatore e, in generale, per garantire la sua “agibilità politica” ora e in futuro.
In particolare, negli ultimi giorni per non far scattare la decadenza a norma delle disposizioni della “legge Severino” sull’incandidabilità (a seguito della condanna definitiva nel processo sui diritti tv Mediaset), si è considerata ogni via possibile, politica o giuridica, compreso lo stravolgimento dei fatti e delle precedenti dichiarazioni (a partire da Alfano che, come prova il Fatto Quotidiano a dicembre si mostrava sicuro dell’assoluzione di Berlusconi, non dell’applicazione non retroattiva dell’incandidabilità).
Nessuno strumento di tutela è stato risparmiato, anche il più improbabile, come il ricorso alla Corte europea dei diritti umani: esso non può intervenire prima che siano state esaurite tutte le vie di ricorso interne, mentre è stato presentato proprio mentre è in corso il procedimento davanti alla Giunta, che gli stessi esponenti del Pdl qualificano con convinzione come giurisdizionale (al limite si potrebbe discutere dell’imparzialità, ma è vero che finora le decisioni contro i membri del Parlamento sono state ben poche).
Detto questo, però, occorre fare qualche riflessione: le impone la vicenda giuridica (non giudiziaria, proprio giuridica) di Silvio Berlusconi, che se considerata in modo completo può legittimamente far sorgere dei dubbi, soprattutto sulle effettive intenzioni del fondatore del Pdl.
In particolare, non può non colpire la foga con cui si sta cercando in ogni modo di evitare ora la decadenza di Berlusconi, se solo si pensa a un “piccolo” particolare. Come si sa, il 19 ottobre è stata fissata la prima udienza del processo d’appello-bis a Milano, per il ricalcolo della pena accessoria. Essendo già definitivi l’accertamento e la condanna alla pena principale, l’operazione sarà breve: a volerla fare lunga, potrebbe occorrere qualche settimana, arrivando magari alla fine di novembre o (al più) all’inizio di dicembre.
A quel punto, l’interdizione dai pubblici uffici spiegherà i suoi effetti: certo, non si può escludere un nuovo ricorso in Cassazione della difesa di Berlusconi (non ci sono strumenti per dire il contrario), in quel caso la data sarà spostata avanti di pochi mesi, ma arriverà comunque. A quel punto, la Giunta dovrà prendere atto della decadenza derivante dall’interdizione: ci sarà un voto sulla sola presa d’atto, senza poter ribaltare gli effetti della sentenza. Lo stesso relatore in Giunta, il Pdl Andrea Augello, due giorni fa ha ammesso che l’interdizione è “un’altra forma di decadenza più certa e meno opinabile” rispetto a quella della “legge Severino”.
Il destino di Berlusconi, dunque, sembra segnato: se non decade in questi giorni, decadrà tra qualche mese, guadagnando forse un po’ di tempo con il ricorso in Cassazione. Il Pd, Sel e il M5S dicono di volere ora la decadenza, un po’ per confermare una certa “vocazione alla legalità” (i democratici rischiano una sollevazione degli iscritti, qualora contribuiscano a “salvare” Berlusconi), un po’ perché anticipare l’uscita di scena del massimo avversario ha un certo fascino. Ma la vera domanda è sul fronte del Pdl: perché tanta foga nell’evitare la decadenza del leader ora, se la deadline del mandato parlamentare (e della candidabilità) è solo rinviata?
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Si potrebbe fare qualche ipotesi, ovviamente da prendere con le molle. Questa tattica dilatoria, per dire, potrebbe essere adottata per prendere il tempo necessario per far andare a miglior fine eventuali trattative in corso sulla futura “agibilità politica”.
Questo potrebbe voler dire, ad esempio, che qualcuno sta cercando di far ottenere la grazia a Berlusconi, magari senza che lui la chieda, così da non ammettere alcuna colpa?
L’ipotesi è suggestiva, ma manca seriamente di credibilità. Napolitano, nella sua nota e anche in messaggi “informali” precedenti, ha già fatto capire che non intende avviare d’ufficio l’iter del procedimento (pur essendo possibile per il Codice di procedura penale). Certo, la grazia potrebbe essere chiesta dai figli (che avrebbero dato la disponibilità) e questo non prevederebbe alcuna ammissione di responsabilità, ma questo non rimuoverebbe altri ostacoli alla concessione del provvedimento di clemenza.
Innanzitutto, è del tutto illogico che la domanda, anche qualora sia presentata, concluda il suo esame in tempi brevissimi, magari prima che la Giunta sia chiamata a votare sulla decadenza. Si dovrebbe attendere che sia definitiva la condanna alla pena accessoria: è irragionevole pensare a una grazia “in due tempi”, prima sulla pena principale e poi sull’interdizione che comunque arriverà (né la clemenza può essere concessa “in via preventiva”, per una sentenza che ancora non c’è). Senza contare che, nella sua nota, Napolitano non pare avere lasciato spazi per una grazia che copra anche le pene accessorie.
C’è poi il problema, sollevato da vari costituzionalisti, dell’assoluta inopportunità di concedere la grazia a chi sia tuttora imputato per fatti successivi a quello per cui si chiede clemenza. Infatti, come è noto, sono ancora in corso quattro procedimenti penali a carico di Silvio Berlusconi: in due di questi – i processi “Ruby” e Unipol – egli è stato già condannato in primo grado rispettivamente a sette anni (per concussione aggravata, con tanto di interdizione perpetua dai pubblici uffici) e un anno di carcere (per aver divulgato le intercettazioni telefoniche tra Giovanni Consorte e Piero Fassino quando erano protette dal segreto d’ufficio).
Se per quest’ultimo processo è intervenuta la prescrizione (sarà il giudice d’appello a doverlo rilevare), i reati legati al caso “Ruby” si prescriveranno solo nel 2020 (e nel 2014 inizierà il processo d’appello). Tra i due procedimenti ancora in fase preliminare, c’è pure quello per la “compravendita” dei senatori che vede indagati anche Sergio De Gregorio e Valter Lavitola. Non si dimentichi poi che almeno in un altro caso (il processo All Iberian 1) si era avuta una condanna in primo grado, poi “neutralizzata” dalla prescrizione.
Come si vede, le condizioni per concedere la grazia a Silvio Berlusconi proprio non ci sono, per cui questa ipotesi è da scartare. Cosa resta allora da considerare?
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Il fine di Berlusconi potrebbe essere allora quello di restare semplicemente dov’è, con la possibilità di fare politica come ha sempre fatto. Anche qui, però, c’è qualche problema logico.
Certamente l’interdizione dai pubblici uffici e l’incandidabilità impedirebbe al fondatore di Forza Italia la presenza in Parlamento, ma certamente non gli sottrarrebbe in alcun modo la possibilità di fare politica.
In questo l’esempio di Beppe Grillo è lampante: come è noto, non era candidato al Parlamento (pur essendo indicato come capo della forza politica), non ha cariche, eppure è chiaramente lui a dettare la linea al MoVimento 5 Stelle. Il fatto che i suoi sostenitori siano detti “grillini” la dice lunga sull’identificazione tra lui e i suoi attivisti: è pienamente leader (e nessuno lo mette in dubbio), anche se non siede su alcuno scranno. E’ questa l’unica vera “agibilità politica” che dev’essere garantita a chiunque.
Una terza ipotesi è stata avanzata pochi giorni fa dall’ex magistrato Bruno Tinti sul Fatto Quotidiano: Berlusconi non vuole decadere perché vuole evitare che qualche Procura si senta in diritto sottoporlo a perquisizioni, arresti, detenzione e (soprattutto) intercettazioni, senza alcun bisogno di autorizzazioni della Camera di appartenenza o di chiunque altro.
I giuristi chiamano un atteggiamento simile “difesa dal processo” (non accettabile), più che “nel processo” (che invece è del tutto legittimo). Finché Berlusconi è parlamentare, nessuno di quegli strumenti è attivabile senza una debita (e improbabile) autorizzazione del Senato, tanto per i procedimenti in corso, quanto per altri di cui ancora non è nota l’esistenza. L’ipotesi è suggestiva e, questa volta, credibile.
L’ultima lettura, invece, è tutta di stampo politico e personale. Che Silvio Berlusconi tenga a non avere su di sé nemmeno una condanna, è cosa chiara e la sua maggioranza (quando c’era) l’ha assecondato quasi sempre, votando tutte le leggi considerate ad personam di cui ha finito per beneficiare, evitando spesso le condanne addirittura in primo grado (si vedano, per dire, i processi All Iberian 2 e Lentini).
Ora che è arrivata la condanna definitiva e la decadenza da senatore si può solo ritardare, le persone più vicine a Berlusconi stanno battendo ogni via per mettere alla prova l’atteggiamento del Pd, che rischia di rimetterci comunque. Se resta intransigente e ottiene la decadenza, il Pdl addosserà ai democratici la colpa della caduta del governo (e difficilmente saranno premiati nell’urna, nel caso improbabile di elezioni ravvicinate). Se il Pd accetta soluzioni intermedie, che la base riterrà favorevoli a Berlusconi, l’emorragia di iscritti e consensi sarà assicurata. In ogni caso, sarà il Pdl a guadagnarci. E Berlusconi questo lo sa.