Nel 2006 Andrea Moro, linguista e neuroscienziato pavese, pubblica “I confini di Babele”, un saggio dove linguistica e neuroscienze di incontrano e collaborano.
Tra i numerosi spunti interessanti, suggestivi anche per i profani della materia, colpiscono senza dubbio le descrizioni di esperimenti linguistici.
Uno in particolare: le cavie erano soggetti provenienti dalla Germania dell’Est subito dopo la caduta del muro. Moro, sicuro del fatto che questi non avessero avuto contatti con madrelingua italiani, offrì loro di partecipare ad un corso per apprendere la lingua.
Omettendo però un piccolo particolare: l’italiano che si apprestavano ad imparare era sbagliato. «Far apprendere a dei soggetti adulti delle lingue straniere, nascondendo, tra le regole delle grammatiche che i soggetti si apprestavano a imparare, delle regole che violano la grammatica universale». Cattiveria? Un brutto scherzo? No, un contributo per la linguistica mondiale.
Così, mentre i tedeschi imparavano l’Italiano convinti che, per formare una frase interrogativa, bisogna invertire l’ordine delle parole e che la negazione deve sempre essere la quarta parola della frase, tutto era pronto per studiare le loro reazioni cerebrali. Al momento della prova finale per attestare le conoscenze acquisite dagli allievi, vennero fatte loro delle domande mentre i loro cervelli erano monitorati.
In sostanza, quello che i neuroscienziati si aspettavano di constatare, era che i soggetti non avrebbero appreso la lingua “sbagliata” o per lo meno che, di fronte a strutture grammaticali che non sono presenti in nessuna lingua del mondo, il cervello avrebbe avvertito questa stranezza e non avrebbe risposto.
E’ un caso che ci siano tratti universali comuni a tutte le lingue parlate nel mondo e al contrario che certe strutture grammaticali non siano attestate in nessuna di queste (come le regole “impossibili” insegnate durante l’esperimento)? Ci si chiedeva quindi se esistesse una guida biologicamente determinata per cui non era possibile che succedesse altrimenti.
Il risultato dell’esperimento però fu sorprendente: «Sia che si trattasse di regole possibili, sia che si trattasse di regole impossibili, i soggetti arrivavano a una padronanza del tutto comparabile». Con una differenza però. Nel momento in cui venivano applicate le regole sbagliate, non si attivava nella scatola cranica la solita area adibita al linguaggio: il cervello utilizzava, per elaborare queste violazioni alla grammatica universale, delle sezioni di solito usate per altre funzioni vitali.
Per cui non esistono lingue che non si possono imparare. Ma esistono lingue che, naturalmente, non si sviluppano mai, perché poco convenienti per la nostra materia grigia, che dovrebbe compiere uno sforzo in più.
Ancora una volta ci sorprendiamo delle mille risorse della mente umana e ci rassicuriamo al pensiero che, anche di fronte agli ostacoli più grandi, ci sia sempre una strada alternativa.