L’altro 11 settembre: il colpo di Stato in Cile

Pubblicato il 11 Settembre 2013 alle 14:43 Autore: Giacomo Tortoriello

L’altro 11 settembre: il colpo di Stato in Cile

Oggi è l’11 settembre, una data che nella maggior parte dell’opinione pubblica fa riaffiorare immediatamente alla memoria la tragedia dell’attacco terroristico del 2001.

Il ricordo di quel giorno, il lutto per i suoi morti, la strumentalizzazione della morte e della paura per generare nuova morte e nuova paura fanno parte nel bene e nel male della coscienza dell’Occidente.

Esiste tuttavia un altro 11 settembre, un 11 settembre che meno in profondità ha scalfito la coscienza occidentale ma che con maggiore intensità descrive le contraddizioni e le colpe del sistema economico contemporaneo.

L’11 settembre 1973 un colpo di stato militare in Cile rovesciò il governo democraticamente eletto presieduto da Salvador Allende portando al potere Augusto Pinochet.

Le conseguenze di quel giorno sono storia: uomini uccisi, donne stuprate, bambini portati via dalle loro famiglie tingono di nero l’orrore quotidiano della dittatura.

Sono trascorsi esattamente quarant’anni da quel giorno eppure il suo significato storico è incredibilmente contemporaneo. Dopo la pubblicazione nel 2004 di una telefonata tra il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e il suo Consigliere Nazionale per la Sicurezza Henri Kissinger nella quale Kissinger conferma il ruolo svolto dagli USA per creare le condizioni per il colpo di Stato, la partecipazione statunitense al rovesciamento di un governo democraticamente eletto non può più essere messa in discussione.

Ciò che si è sempre saputo, tuttavia, è più che sufficiente per inquadrare storicamente l’egemonia economica degli Stati Uniti.

Negli anni del controverso governo Allende, eletto nel 1970 con la maggioranza relativa dei voti, gli Stati Uniti si impegnarono attivamente per impedire quella realizzazione del socialismo che  il governo cileno si era proposto. La riforma agraria e la nazionalizzazione dell’industria, a partire da quella del rame, colpivano in maniera diretta gli interessi americani e le multinazionali non tardarono ad alzare il loro grido di protesta contro riforme che impedivano loro di fare i consueti ingenti profitti.

La sbandierata avversione americana nei confronti del governo cileno e il conseguente colpo di Stato legittimato dagli Stati Uniti mandarono un messaggio chiaro al mondo, un messaggio che ancora oggi governa le vite di milioni di persone.

Il Cile è stato usato infatti come cavia per testare il nuovo modello economico neoliberista poi esportato nel resto del mondo. Oggi da un punto di vista macroeconomico il Paese cresce, ma questa crescita non si è mai tramutata in un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.

L’ascesa inarrestabile del neoliberismo ha acuito le disuguaglianze sociali, in Cile come nel resto del mondo, eppure i governi dell’America Latina continuano a siglare accordi commerciali con gli Stati Uniti a tutela degli interessi delle multinazionali e contro i propri cittadini.

L’ultimo caso in tal senso è quello colombiano: la sottoscrizione del “Free Trade Act” con gli States è un vero e proprio colpo al cuore per i contadini colombiani che si apprestano ad essere conquistati dalle lobby americane.

Nelle scorse settimane migliaia di contadini hanno protestato contro il governo: la militarizzazione delle città e nessun passo indietro sull’imposizione di semi prodotti dalle multinazionali è stata la risposta del governo colombiano presieduto da Juan Manuel Santos.

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