Dopo le elezioni legislative in Norvegia e la vittoria dei conservatori, i colloqui per la formazione del nuovo governo di fatto sono già cominciati. Erna Solberg, leader della Destra, ha di fronte a sé una strada meno agevole di quanto si possa pensare: riuscire a far convergere intorno alla stessa piattaforma politica il suo partito, il Partito del Progresso, i Liberali e il Partito Popolare Cristiano.
Le elezioni di domenica e lunedì scorsi ci restituiscono una Norvegia politicamente diversa da quella che abbiamo conosciuto negli ultimi otto anni. Il governo di centrosinistra alla guida del paese dal 2005 è stato sconfitto ed Erna Solberg ha la possibilità di dar vita a unesecutivo sorretto da una larghissima maggioranza parlamentare. Ma non è tutto scontato.
Mentre è praticamente certo che il Partito del Progresso farà parte del prossimo governo, tutte da valutare sono le posizioni dei Liberali di Trine Skei Grande e dei Cristiano Popolari di Knut Arild Hareide, considerato che tra questi tre partiti le differenze sono molto marcate. Secondo la maggior parte degli analisti, per Solberg le questioni più spinose sono soprattutto due: l’ipotesi di avviare esplorazioni petrolifere negli arcipelaghi Lofoten e Vesterålen, e le leggi sull’immigrazione. Su questi temi le distanze tra i partiti di centrodestra si dilatano. Più facile un accordo sui trasporti e la scuola, ad esempio.
Distanze ce ne sono anche sulla quantità di denaro da prelevare dal Fondo Petrolifero, ma con un po’ di pazienza Solberg potrebbe trovare un punto d’incontro. Liberali e Cristiano Popolari per ora non pongono ultimatum: sanno che approcciare i colloqui con una linea troppo dura potrebbe far saltare subito il tavolo, lasciandoli con un pugno di mosche in mano.
Cauta è anche Siv Jensen, leader del Partito del Progresso, che avvisa i suoi: sarà necessario negoziare, alcune cose sarà possibile ottenerle e altre no. Del resto per il Partito del Progresso si è aperta una stagione nuova: mai nella sua storia era stato al governo, e dunque mai era stato costretto a sedere al tavolo con altri partiti alla ricerca di compromessi politici.
Secondo il quotidiano Aftenposten, Erna Solberg ha comunque in testa la sua squadra di ministri. Pressata dalla stampa, la leader della Destra s’è però guardata bene dal fare nomi. Fino a quando non sarà chiaro chi farà parte dell’esecutivo, Solberg terrà la sua lista chiusa in un cassetto.
Il quotidiano Dagbladet ha lo stesso provato a buttar giù la squadra di governo, all’interno del quale dovrebbero trovare posto tutti e quattro i leader dei partiti all’opposizione negli scorsi otto anni: Erna Solberg, Siv Jensen, Knut Arild Hareide e Trine Skei Grande. Anche Jan Tore Sanner (numero due della Destra) troverebbe spazio, così come Ketil Solvik-Olsen (figura di spicco nel Partito del Progresso). I Liberali potrebbero dirigere il ministero dell’Istruzione, e forse anche un altro dicastero da individuare in una rosa di tre: quello importantissimo del Petrolio e dell’Energia, quello dei Trasporti o quello dell’Ambiente. Il Partito Popolare Cristiano avrebbe il ministero dell’Infanzia e della Famiglia.
(Per continuare la lettura cliccare su “2”)
Nel frattempo l’ormai ex premer laburista Jens Stoltenberg dichiara di non avere intenzione di lasciare la politica: nulla di strano, il passaggio di consegne all’interno del partito laburista sarà un processo organico che prenderà del tempo. La domanda gli è stata posta direttamente: sarà ancora lui il candidato premier alle elezioni del 2017? “La decisione spetta al congresso del partito laburista e quando sarà il momento esprimerò la mia posizione” ha spiegato Stoltenberg, aggiungendo che “c’è ancora tanto da fare, anche se i miei capelli sono molto più bianchi rispetto al 2001, quando ho lasciato per la prima volta l’incarico di primo ministro”.
In Svezia e in Finlandia, invece, i sondaggi raccontano di governi in grossa difficoltà
A Stoccolma un governo in carica da otto anni sembra avviato verso una sconfitta elettorale. La differenza è che in Svezia a perdere dovrebbero essere i conservatori del premier Reinfeldt, a tutto vantaggio del centrosinistra. Schieramenti invertiti ma esito identico.
A ribadirlo è l’ennesimo sondaggio pubblicato dai quotidiani nei giorni scorsi. Secondo un’indagine condotta dall’Expressen/Demoskop i rosso-verdi continuano ad avere un vantaggio considerevole sul governo di centrodestra: 48,9 per cento contro 39,9. Un distacco che sarà difficile colmare.
Il premier Reinfeldt per ora smentisce di avere in testa ipotesi di rimpasti di governo: “Non sto preparando nessun rimpasto di governo” ha detto, “anche se bisogna sempre essere pronti a fare i cambiamenti”.
In Finlandia la situazione è molto simile. La fine dell’estate ha riportato a galla tutte le difficoltà del governo. Il principale partito del paese oggi è il Partito di Centro (23,8 per cento), seguito dai Veri Finlandesi (19,3). E questo significa che al primo e al secondo posto stanno i due partiti che siedono all’opposizione. Il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen è al 18,3 per cento, mentre i laburisti scendono al 15. Gli elettori non sembrano apprezzare soprattutto la rotta economica seguita dall’esecutivo.
Come se non bastasse, in questi giorni c’è stato anche un piccolo terremoto nel Partito di Coalizione Nazionale. L’ala giovanile ha diffuso le proprie proposte politiche: stop al supporto finlandese nei confronti dei paesi europei e stop all’accoglienza dei rifugiati.
Una posizione che ha sorpreso i vertici. Alcuni hanno preso immediatamente le distanze, altri hanno provato a ridimensionare interpretando queste proposte come provocazioni per punzecchiare il partito e spingerlo a fare meglio. Katainen fa parte del primo gruppo: una piattaforma del genere, ha dichiarato, è lontanissima dalle idee fondanti dello schieramento politico che lui guida.
E sul banco degli imputati finisce Susanna Koski, alla testa dell’ala giovanile del partito. “L’ho supportata in passato e continuerò a farlo anche in futuro” ha dichiarato il primo ministro. Ma la questione non sembra per niente chiusa.