La crisi siriana sta assumendo dei contorni che solo fino a qualche giorno fa sembravano impensabili e il regista sembra esserne Vladimir Putin.
Chi l’avrebbe mai detto? Il Presidente della Federazione russa, ergendosi ad inaspettato simil-pacifista e antimilitarista, sta mettendo sempre più in cattiva luce il collega americano Obama. Putin ha sorpreso ampia parte dell’opinione pubblica americana, e non solo, scrivendo sul New York Times lo scorso 11 settembre, “per parlare direttamente al popolo americano e ai suoi leader politici”.
Dalle pagine del quotidiano liberal newyorkese, Putin ha messo in guardia gli USA sui rischi di un intervento in Siria: “genererebbe ulteriori vittime innocenti e si espanderebbe oltre i confini siriani, portando con sé una nuova ondata di terrorismo. Un attacco americano minerebbe l’impegno multilaterale sul dossier nucleare iraniano, sul conflitto israelo- palestinese, sull’intero Medio Oriente e sul Nord Africa”.
Putin vuole dimostrare che le preoccupazioni a stelle e strisce sono condivise anche dal suo Paese, in particolare quelle riguardanti l’elevato numero di non-siriani che militano tra le fila dei ribelli, inclusi molti russi e moltissimi occidentali, il cui ritorno in patria potrebbe portare con sé nuove e altre forme di violenza. “Noi russi non proteggiamo il Governo siriano, ma il diritto internazionale”.
Sull’uso delle armi chimiche, Putin ha le idee molto chiare su chi ne sia il vero responsabile: ”Nessuno dubita che ci siano stati attacchi chimici in Siria, ma sono avvenuti per mano dei ribelli, per provocare l’intervento dei loro potenti protettori internazionali”. Sul ruolo degli USA, il Presidente russo afferma che è “allarmante che per gli Stati Uniti gli interventi armati in conflitti interni in Paesi stranieri siano diventati un luogo comune. E’ questo il loro interesse a lungo termine?Non credo.” L’intero articolo a firma di Vladimir Putin sul NYT passerà alla storia come un raro pezzo di fine retorica diplomatica, come non si vedeva arrivare da Mosca da molto, molto tempo.
Così facendo, Putin sta offrendo una chance a Obama di uscire dal vicolo cieco nel quale si è cacciato, da Commander in Chief delle forze armate, riguardo ad un intervento in Siria.
Intanto il ministro degli Esteri Bonino confida nell’opportunità che ha offerto il vertice bilaterale tra il Segretario di Stato americano Kerry e il Ministro degli Esteri russo Lavrov a Ginevra, per studiare la fattibilità della messa sotto controllo internazionale delle armi chimiche siriane.
A poche ore dall’apertura del summit, il Presidente siriano Assad ha fatto sapere dalla tv russa Rossia 24 che il suo Paese accetterà di collaborare con l’ONU, ma a patto che gli USA smettano di armare i ribelli. Assad ha inoltre annunciato che la Siria aderirà già a giorni alla Convenzione sulla proibizione della armi chimiche.
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Il Piano che Mosca ha condiviso con Washington per lo smantellamento degli arsenali di armi chimiche siriane prevederebbe l’adesione di Damasco all’Opac (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, con sede a l’Aja), e l’apertura dei siti di stoccaggio e di produzione agli ispettori dell’ONU, cui farà seguito la distruzione delle armi, forse affidata congiuntamente a Russia e USA, in virtù dell’accordo sul disarmo Nunn-Lugar del 1991, rinnovato all’ultimo G8 da Mosca e Washington, nel giugno scorso. Questo è quanto emerge dalle indiscrezioni pubblicate dal quotidiano Kommersant.
Anche il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sulla crisi siriana, su proposta dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Catherine Ashton. Nel documento viene chiesto all’Ue di impegnarsi negli sforzi diplomatici, ma viene ancora contemplata la possibilità di perseguire una risposta militare a scopo deterrente, solo sotto l’egida ONU. Inoltre, viene chiesto di deferire la questione all’Assemblea Generale ONU, qualora i veti di Russia e Cina lasciassero nell’impasse totale il Consiglio di Sicurezza.
La comunità internazionale sta dunque provando a percorrere la strada diplomatica, per scongiurare una rovinosa azione militare- non ancora del tutto esclusa- in un Paese già “consegnato al Diavolo”, come ha testimoniato Domenico Quirico al rientro dalla brutale esperienza siriana.