Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei. Non c’è modo più immediato e diretto di risalire ad una personalità, che osservarla nel momento della scelta dell’abbigliamento. E il principio non cambia quando la moda diventa lo specchio del modo di essere di un intero popolo, di un’intera epoca.
Nelle minigonne lanciate negli anni ‘20 da Coco Chanel, ogni donna poteva leggere la propria emancipazione. Mentre l’audacia degli anni dei Rolling Stones faceva entrare di prepotenza i pantaloni nel guardaroba femminile di ogni giorno.
Un segnale culturale forte, quello che traspare dalle diverse tendenze di ogni fase storica. E lo stesso si potrebbe dire osservando un Picasso a confronto con un Warhol. Allora è difficile sostenere che la moda non sia una forma d’arte, in fin dei conti.
Alla luce delle recenti nomine di quattro nuovi senatori a vita però, salta all’occhio come, anche questa volta, nessuno stilista sia stato nominato dal presidente della Repubblica. Nessuno tra loro quindi avrebbe «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo artistico» o per lo meno, non abbastanza.
Eppure Giorgio Armani, simbolo del made in Italy, era uno dei papabili. Già nell’ottobre del 2009 Santo Versace aveva inviato una lettera al Presidente della Repubblica, richiedendo la nomina del collega Armani al più alto riconoscimento previsto dallo Stato. Ma forse il fatto non è tanto quello di non riconoscere i meriti di un’icona come lui: si tratta piuttosto di avvertire una stonatura nell’affiancarlo al nome di Abbado o di Renzo Piano, più che per una disparità di incidenza culturale, per un diverso rapporto con gli italiani.
Quando si parla di alta moda, quella che l’uomo comune osserva dal basso verso l’alto tra i riflettori delle passerelle milanesi, ciò che si percepisce è il distacco, non una comune appartenenza. Mentre musei, teatri e biblioteche sono alla portata di tutti, il mondo della moda è quello che ci ricorda, ogni volta che passiamo davanti alle vetrine più lussuose, la differenza tra il desiderare una cosa e poterla avere.
E se le critiche al Presidente Napolitano sono state incentrate soprattutto sul fatto che i quattro nuovi nominati «saranno stipendiati a vita senza essere stati eletti da nessuno» (A. Airola, M5s), uno stilista a Palazzo Madama sarebbe stato ancora più difficile da digerire. A maggior ragione a qualche mese dallo scandalo di Dolce e Gabbana.
Senza mettere in dubbio la valenza della categoria stilisti, prendiamo atto dell’opinione comune. Del resto è questo il grande limite delle sfilate di moda: mostrare un’arte che si può indossare, ma farlo su una passerella che è troppo alta per essere raggiunta.