Berlusconi spera (invano) nel voto segreto?
Il problema, ovviamente, è “come” voterà. In altre parole, se lo scrutinio sarà palese oppure segreto. Questo è il secondo punto, molto delicato, della questione.
Giovanardi, infatti, annuncia come “evidente” la richiesta di voto segreto da parte del Pdl. Per tutta risposta, il M5S Senato cerca di controbattere chiedendo l’abolizione dello scrutinio segreto a Palazzo Madama.
Lo scopo di una modifica al Regolamento, a firma Vincenzo Santangelo, punta infatti ad “abolire il voto segreto e prevedere la votazione nominale e palese per ogni tipo di votazione. Chi non ha nulla da nascondere voti la nostra proposta per avere sempre un Parlamento casa di vetro. Basta voto segreto! Solo chi deve nascondere qualcosa vuole, chiede e difende il voto segreto. I parlamentari al Senato del Pd come di ogni altra forza politica possono far svanire ogni timore e aprire alla trasparenza: votino la nostra proposta di modifica del regolamento del Senato“.
Tanto Giovanardi quanto il M5S, comunque, hanno la quasi certezza che il voto segreto verrebbe concesso dal Presidente del Senato, a norma dell’art. 113 del Regolamento. Il secondo comma, infatti, prevede che si proceda a scrutinio segreto quando venti senatori chiedano in tempo utile di votare in quel modo: il quarto comma prevede varie ipotesi in cui si può avere lo scrutinio segreto, mentre quello precedente segnala che “sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone“.
Probabilmente ci si è fissati su questa disposizione, ritenendo che il voto sulla decadenza di Berlusconi sia un voto “riguardante una persona”. Il che avrebbe anche un senso, ma ci si dimentica un particolare tutt’altro che piccolo. E non ci si riferisce tanto ai numeri, in base ai quali Berlusconi potrebbe non salvarsi, a meno di una robusta trasfusione di voti del Pd (magari parte degli impallinatori di Prodi), trasfusione che però farebbe morire il Partito democratico perché provocherebbe la sollevazione degli iscritti.
Il problema è proprio dato dalla possibilità o meno di votare in segreto. Giovanardi cita il precedente di Craxi, ma commette un errore di peso. In quel caso, infatti, si tratta di un’autorizzazione a procedere, che appunto il Senato negò. Essa tuttavia si ricollega alle “immunità” dei parlamentari, non alla “verifica dei poteri”, cui invece si deve ricondurre il caso Berlusconi. La differenza è piuttosto pesante.
Nel 2007, infatti, era contestata l’elezione di due deputati e Antonio Leone, allora alla Camera per Forza Italia, notò che il principio dello scrutinio segreto per le “votazioni riguardanti persone” doveva valere anche per la votazione sulle elezioni contestate. La Giunta per il regolamento, invece, (era il 6 giugno 2007) disse che non si poteva assimilare una votazione riguardante persone a quella sulle proposte della Giunta per le elezioni: con esse si valuta lo status di un parlamentare (la regolarità dei suoi titoli di ammissione e l’assenza di cause contrarie al mandato) “che incide sulla regolare composizione del plenum della Camera”.
Se lo stesso principio valesse per il Senato, il discorso di Giovanardi crollerebbe del tutto e non ci sarebbe il minimo spazio per votare a scrutinio segreto. Una carta in meno da giocare per Berlusconi, nella mano più difficile della sua lunga partita.