“Still life”: il film di Uberto Pasolini che ha incantato il pubblico della Mostra
A una settimana dalla chiusura della 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, c’è attesa per l’uscita nelle sale dei film in concorso. Tra questi “Still Life”, piccolo gioiello la cui proiezione si è conclusa con otto minuti di applausi ininterrotti e inaspettati, che hanno visto il regista defilarsi commosso.
Uberto Pasolini, italiano trapiantato a Londra, noto per aver prodotto il celebre “Full Monty”, ne ha curato non solo la regia, ma anche la sceneggiatura. Con delicatezza e sapienza, al punto da guadagnarsi il premio alla regia nella sezione “Orizzonti”.
“Still Life” racconta la storia di John May – interpretato dall’attore britannico Eddie Marsan –, un impiegato comunale che svolge un mestiere particolare: si occupa di ricercare i parenti più prossimi di coloro che sono morti in solitudine.
Tuttavia mai nessuno vuole partecipare ai funerali. Nel tentativo di dare degna sepoltura a chi è passato a miglior vita, May sceglie le musiche di accompagnamento e scrive elogi funebri che nessuno ascolterà, basandosi su quanto vede in casa dei defunti, foto e oggetti che ricostruiscono le trame di esistenze spezzate nel più completo isolamento.
Il protagonista è un personaggio ordinato e metodico, che apparecchia la tavola sempre allo stesso modo e che non ha consapevolezza della propria solitudine, molto simile a quella dei morti che accompagna nel loro ultimo viaggio.
Svolge il proprio lavoro con grande senso dell’umanità e del valore della vita, mettendoci tutta la sua cura e devozione. Troppa, secondo i suoi superiori, interessati a cerimonie funebri più celeri e meno costose. Dopo ventidue anni di onorato servizio, il reparto per il quale lavora May viene accorpato ad un altro e lui viene lasciato a casa.
Tuttavia gli viene permesso di portare a termine il caso di Billy Stoke, un vicino di casa morto senza familiari né amici. May intraprenderà un viaggio alla ricerca della famiglia e dei conoscenti dell’uomo, un viaggio che significherà per lui molto più della chiusura del suo ultimo caso.
La pellicola tratta con commovente umanità i temi dell’isolamento, della solitudine e della morte. Il regista Uberto Pasolini ha scoperto per caso, attraverso la lettura di un articolo, l’esistenza del mestiere raccontato nel film, scoprendo anche che nei paesi occidentali viene celebrato un numero elevatissimo di funerali di persone sole, tragica conseguenza della scomparsa del vicinato e del sempre più frequente disgregamento dei nuclei familiari:
Negli ultimi decenni il mondo occidentale ha assistito a una graduale frammentazione della società, di cui è esempio la scomparsa del vicinato, inteso come luogo nel quale i residenti di lunga data condividono una storia e l’interesse degli uni per gli altri. Contemporaneamente l’Occidente ha visto il rapido tramonto della famiglia multigenerazionale. Queste due trasformazioni hanno contribuito al tragico fenomeno della “morte in solitudine”. Partendo da tale triste realtà ho voluto creare – dice Pasolini – un film che celebri e rammenti il valore della vita vissuta, in particolare della vita di coloro che passano inosservati.