La scorsa settimana il Parlamento ha ratificato il Trattato internazionale che regola il commercio delle armi, un mercato vastissimo di decine di miliardi di dollari: industrie pesanti delle principali economie mondiali si contendono un primato “prezioso”.
La presidente della Camera Boldrini ha espresso apprezzamento per l’unanimità del voto dell’Aula su un tema delicato e che riguarda da vicino il diritto internazionale e i diritti umani.
Una partita da circa 90 miliardi l’anno, una cifra imponente che fa pensare a quanto sia complicata la strada che ha portato all’appuntamento di oggi.
Il mercato delle armi per anni è stato un autentico porto franco, non obbligato a fornire informazioni sensibili e pericolosamente svincolato da ogni regola. Negli anni la deregolamentazione ha creato danni incalcolabili: ogni giorno, nel mondo, milioni di persone soffrono a causa delle conseguenze dirette o indirette di un commercio di armi poco regolamentato.
Le statistiche di Amnesty International, aggiornate al 2012 raccontano di 1.500 persone che muoiono ogni giorno, vittime della violenza armata e 26 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa a causa di un conflitto armato.
Siamo ad un punto di non ritorno: in pratica ogni minuto nel mondo una persona muore per la violenza armata. Ma la beffa più tremenda è che nello stesso minuto 15 nuove armi vengono prodotte.
Prendendo coscienza della situazione di ingovernabilità e pericolosità intrinseca, una buona fetta di società civile negli anni ’90 ha indicato l’impellente necessità di regolamentare il commercio delle armi, creando strumenti giuridicamente vincolanti per normare un vulnus tra i più gravi del diritto internazionale.
Il percorso è stato lungo e complesso: la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu 61/89 del 6 Dicembre 2006 ha rappresentato un grande passo, seguito dalla svolta della risoluzione 64/48 del 2 dicembre 2009 sul Trattato sul commercio di armi (Arms Trade Treaty, ATT), sostenuta da 153 Stati membri. Lì gli stati hanno deciso di dotarsi di uno strumento giuridicamente vincolante.
Dal Giugno di quest’anno il trattato è stato aperto alla firma e il Parlamento italiano ha fatto la sua parte nei giorni scorsi. L’Arms Trade Treaty per la prima volta, costringerà i venditori a considerare come i propri clienti utilizzeranno le stesse e, soprattutto, li obbligherà a rendere queste informazioni pubbliche: non solo una considerazione più responsabile rispetto a quel particolare tipo di merce, ma anche un modo per iniziare un percorso di disincentivazione della produzione di armi (oltre che ovviamente per porre un freno al contrabbando e al mercato nero).
Inoltre l’ATT introduce misure di trasparenza inedite: ogni Stato parte del trattato deve consegnare una relazione annuale al segretariato sullo stato di produzione e vendita della armi, inoltre mantenere registri nazionali delle autorizzazioni concesse e delle esportazioni di armi convenzionali che sono state effettuate, con specifiche informazioni.
Secondo le voci più critiche, il Trattato deve rappresentare solo un primo passo, seppur importante: restano fuori dai controlli le componenti delle armi e quelle non ordinarie.
Infine il nostro paese è giuridicamente attrezzato a recepire un tale strumento giuridico; l’Italia possiede infatti da oltre venti anni una legge sull’export delle armi, ha firmato e ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, di cui sono parte 176 Stati e non ultimo possiede un Protocollo contro la produzione illecita ed il traffico di armi da fuoco, loro parti, componenti e munizioni.