Da De Gasperi a Letta: lunga vita alla “Cassa del Mezzogiorno”.
Tra crisi di fiducia e incertezza sul proprio futuro, il governo di larghe intese con a capo Enrico Letta, non ha ancora fatto registrare riforme politiche degne di nota. Pur impegnato a districarsi tra le notevoli difficoltà, l’esecutivo, un provvedimento è riuscito a vararlo: in qualche modo ha sancito la rinascita della “Cassa del Mezzogiorno”.
L’ente fondato da De Gasperi nel 1950, per predisporre l’erogazione di fondi pubblici verso le 6 regioni del Meridione, le isole e alcune provincie del Lazio in modo da favorirne lo sviluppo economico-sociale, come ebbe a dire Montanelli in una sua inchiesta del 1963 sul Corriere della Sera, non faceva altro che “distribuire befane” ovvero “un ponte qui, una strada là, un po’ di appalti, qualche ufficio dalle attribuzioni vaghe che fornisse solo un pretesto alla distribuzione di qualche impieguccio”. Insomma un vero e proprio “carrozzone”. D’altronde nel 1986 con il nuovo nome di “Agenzia per il mezzogiorno”, ricevette in dote 120 miliardi di lire: la più grande e inutile iniezione di denaro pubblico nella storia dello stato unitario. Il ministro Andreatta decretò la fine della CasMez nel 1993, dando inizio a un complicatissimo processo di liquidazione. Nei suoi 40 anni di vita, tra buoni propositi e clientele tra politica e imprenditoria, si stima che alla Cassa del Mezzogiorno sia stata erogata una somma vicina ai 140 miliardi di euro, 279,793 miliardi di lire: in media ogni anno lo Stato vi versava 3,2 miliardi, dedicando mezzo punto di PIL alla soluzione della “questione meridionale”.
Il 26 Agosto, il Consiglio dei Ministri, ha approvato il decreto legge sulla PA che, al proprio interno, conteneva la “novità” ideata dal Ministro per la Coesione Territoriale Carlo Triglia: nasce così l’Agenzia per la Coesione territoriale che gestirà i fondi comunitari 2014-2020. Nelle intenzioni del suo principale fautore, istituire tale agenzia, non significherà “tornare al centralismo” ma “far lavorare strutture centrali e locali in un quadro strategico unico”, a disposizione dell’Agenzia “30 miliardi della programmazione 2014-2020 ai quali si aggiunge un cofinanziamento di pari entità, ai quali si aggiungono 50 miliardi di fondo sviluppo e coesione”, sono previste anche “120 assunzioni qualificate di alto livello con selezione rigorosa di persone con esperienza UE e di uso dei fondi” ha precisato Letta.
Nelle intenzioni del Ministro Triglia i compiti dell’Agenzia sono tre: verifica e monitoraggio dell’uso dei fondi pubblici da parte delle amministrazioni, maggiore sostegno e assistenza alle amministrazioni interessate per la complessità delle procedure e infine “assumere compiti anche di gestione diretta per progetti sperimentali ma anche casi, che naturalmente vanno definiti con precisione, di gravi ritardi e inadempienza da parte delle autorità”. Quest’ultimo punto che definirebbe una sorta di “potere sostitutivo” dell’Agenzia in caso di inerzia da parte delle amministrazioni ha dato luogo a più di una critica in particolare dalla Lega che, per bocca del governatore del Veneto Zaia, ritiene più giusto “usare come criterio per tutte le spese delle regioni i costi standard, così in ogni settore la regione più virtuosa sarà il metro per tutte le altre”. Triglia ha dichiarato che le preoccupazioni sono legittime ma, questo potere, verrà adeguatamente disciplinato.
Confindustria blocca le polemiche: “Agenzia o no, l’importante è che sia rafforzato il ruolo di coordinamento e monitoraggio altrimenti si rischiano di perdere 10 miliardi del ciclo 2007-2013 e di partire in ritardo per quello 2014-2020”. Per Alessandro Laterza, vicepresidente degli industriali con delega al Sud, “Le esigenze sono due: la prima è quella di una forte funzione di coordinamento e indirizzo strategico sull’utilizzo dei fondi europei, coerente con le indicazioni del commissario Ue Hahn che a fine Maggio ha richiesto esplicitamente all’Italia un rafforzamento del livello nazionale. La seconda è quella dell’istituzione di una sorta di organismo esecutivo che faccia quello che finora ha fatto il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica – monitoraggio e controllo sull’attuazione dei programmi – ma che agisca anche come task force con interventi operativi, dove occorra”.
L’obiettivo sembra quello di riuscire a spendere i finanziamenti strutturali europei, “di cui al momento riusciamo a utilizzare poco più del 50% di quelli che potremmo aspirare ad avere” secondo le parole del Ministro per le Politiche Europee Moavero Milanesi. Proprio quest’ultimo ha da poco ricordato la possibilità che, l’Italia, ha di accedere nei prossimi mesi a 85-90 miliardi europei da spendere in grandi opere nell’arco di 7 anni. Considerando che il 2014 è considerato l’anno della “ripresa”, nonché del semestre di presidenza italiana dell’UE, questa è un’occasione da non perdere. Sperando che la solita cascata di finanziamenti al Sud, come l’esperienza della CasMez insegna, non provochi la ben nota deriva assistenzialista e clientelare oltre che la costruzione delle già numerose “cattedrali nel deserto” che il Meridione conosce fin troppo bene.