Africa senza giustizia. Sporche manovre all’Aja
Africa senza giustizia. Sporche manovre all’Aja.
Sono cinque i testimoni che hanno annunciato il ritiro dal processo contro il vicepresidente del Kenya William Ruto, alla sbarra della Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità.
Il vice presidente è accusato, come Uhru Kenyatta, presidente, di aver orchestrato e fomentato le violenze post-elettorali del 2008, in cui morirono oltre 1300 persone e altre 600.000 furono sfollate.
Le defezioni dei testimoni sono probabilmente il frutto di una campagna lanciata dai due uomini politici per evitare il processo, o almeno una condanna e rischia di di incidere seriamente sugli esiti del processo, avendo l’accusa basato gran parte della sua strategia sulle testimonianze.
Si trattava infatti di testimoni oculari e sopravvissuti alla strage avvenuta in una chiesa, data alle fiamme con all’interno centinaia di civili, e costata la vita a 35 persone.
Quando furono accusati Kenyatta e Ruto non erano ancora ai massimi vertici del paese, addirittura al tempo delle violenze stavano uno contro l’altro.
Ora si difendono a vicenda e hanno adottato una strategia difensiva che non prevede solo l’ottenimento di una assoluzione, magari per mancanza di prove, ma va molto oltre. I due stanno cercando, con alleanze autorevoli, di minare l’autorità della corte gettando su questa una sorta di accusa di razzismo.
La Corte Penale Internazionale viene accusata infatti di avere procedimenti aperti e di avere condannato solo imputati africani. E su questo punto sono riusciti ad ottenere un appoggio continentale importante.
L’Unione Africana, infatti, sarebbe pronta a rivolgersi all’Assemblea generale dell’Onu qualora i giudici dell’Aia non accogliessero la richiesta di chiudere il caso di Ruto e Kenyatta o trasferire il processo alla giustizia keniana.
Nel caso le richieste dell’Unione Africana non venissero accolte, i 34 paesi africani firmatari dello Statuto di Roma potrebbero decidere di fare un passo indietro, disconoscendo in massa la Corte penale internazionale.
Un ricatto al quale si prestano 34 capi di stato africani che lo mettono in atto “a buon rendere”.
Nel senso che sanno bene che oggi tocca a Ruto e Kenyatta, ma domani potrebbe toccare a loro e si aspettano di ottenere lo stesso appoggio. O, ancora meglio, si aspettano che non ci sia una giustizia internazionale perchè la Corte Penale avrà sempre meno aderenti, e sempre meno autorità. A buon rendere, appunto.