Marino ed il Pd. Governano insieme la Capitale, hanno vinto le elezioni, eppure tra il sindaco di Roma Ignazio Marino e il Partito Democratico il rapporto è complicato.
Lo è dall’inizio: da una parte un primo cittadino con le sue idee e la sua voglia di rompere con le logiche del passato, dall’altra un partito che di fare da comparsa non ne ha proprio voglia.
L’ultimo strappo s’è consumato sulle unioni civili. Al Pd non è piaciuta la mossa del sindaco Marino, che nel corso della Festa dei Giovani Democratici ha annunciato l’istituzione del registro delle unioni civili sulla base della proposta avanzata da Sel.
Una sorpresa per il Pd, soprattutto nella forma: il sindaco che esce allo scoperto senza prima aver cercato sull’argomento una sintesi con l’intera maggioranza. Risultato: i democratici che presentano la loro controproposta, Sel che si dice pronta a ritirare la propria, e alla fine così è stato. “Abbiamo deciso di presentare una unica proposta di delibera sul registro delle unioni civili a nome della maggioranza capitolina”, ha dichiarato il coordinatore Fabrizio Panecaldo.
Queste non sono le prime nuvole nere sul Campidoglio. Segnali di malcontento ce ne erano già stati. Molti consiglieri della maggioranza, ad esempio, nei giorni scorsi avevano lamentato un’aula Giulio Cesare troppo poco attiva e troppo poco coinvolta nella vita politica e amministrativa della città.
Il fastidio nel Partito Democratico c’è, si vede, per ora viene tenuto sotto traccia ma filtra. Per molti democratici Ignazio Marino agisce come un uomo solo al comando, con le sue idee, le sue strategie, confrontandosi solo con gli uomini che lui ha scelto. Poco dialogo, insomma. Troppo poco, per i gusti del Pd.
C’è da restare sorpresi? Forse no. Di indizi ce ne sono stati tanti. E non solo in questi primi cento giorni di governo cittadino. La campagna elettorale di Marino è stata la campagna di un uomo che s’era presentato fuori dalle logiche di partito. Ricordate i suoi manifesti? Del simbolo del Pd non c’era traccia. E lo slogan? “Non è politica. È Roma”: la direzione che Marino avrebbe seguito era già tutta lì.
E infatti, dopo la vittoria elettorale, l’ex chirurgo ha cominciato subito a muoversi in totale autonomia strizzando l’occhio al Movimento 5 Stelle e suscitando l’irritazione dei vertici romani del Partito Democratico, seccati dall’ipotesi di un improvviso e inaspettato allargamento della maggioranza.
Per niente facile è stata anche la trattativa tra Marino e il Pd per individuare i nomi per la giunta. Il partito deciso a piazzare i propri uomini in assessorati di peso, il neosindaco determinato a tener fede alle promesse fatte nelle settimane precedenti: discontinuità col passato, uomini scelti sulla base del merito. Quella partita (durata un paio di settimane) alla fine era terminata con una sorta di pareggio: i democratici avevano ottenuto meno di quanto chiesto e Marino aveva dovuto cedere più di quanto voluto.
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Sono passati cento giorni e poco più. È passata l’estate, e per Marino le vere sfide cominciano adesso: bilancio, trasporti, municipalizzate, decoro e sicurezza.
La lista delle cose da fare è lunga. E su ciascuno di questi argomenti il Partito Democratico vorrà dire la sua.