L’accordo sulle riforme istituzionali, almeno secondo i saggi, sembra essere trovata. Se l’accordo tra i tecnici nominati da Palazzo Chigi sembra essere a portata di mano, resta da capire quali prospettive si delineeranno sul versante politico.
Le distanze tra i partiti, con il Pd in cui continua a prevalere la linea parlamentarista e il Pdl nettamente schierato sul versante dell’opzione presidenzialista, restano sul tappeto e l’eventuale crisi di governo, innescata dal voto sulla decadenza di Berlusconi, rischia di minare alla base qualsiasi chance di condurre in porto il processo di riforma costituzionale.
Ben consapevole di questi caveat, il ministro delle Riforme istituzionali Gaetano Quagliariello mostra ottimismo dando l’annuncio della fine dei lavori del comitato di esperti.
Il testo elaborato durante l’ultimo week end in un albergo di Francavilla a mare – su cui si sono abbattuti gli strali polemici di Grillo e del M5s che ha denunciato l’incostituzionalità del metodo adottato per modificare la parte seconda della carta costituzionale – si presenta comunque come un compromesso, una bozza non risolutiva contenente dichiarazioni d’intenti e buoni propositi che toccherà al Parlamento tradurre in effettivi aggiornamenti dell’impianto istituzionale.
Fine del bicameralismo perfetto, snellimento delle procedure parlamentari, limite alla decretazione emergenziale, rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio, sul modello del cancellierato tedesco: questi i punti su cui si è manifestato l’accordo più ampio e dai quali partire per una più organica rivisitazione della forma di governo.
Lo stesso premier Letta, in questi ultimi giorni, era tornato ad invocare un colpo di reni del Parlamento e delle forze politiche presenti per porre fine “al meccanismo folle” del bicameralismo paritario, la perfetta simmetria funzionale tra Camera e Senato presente esclusivamente nel nostro Paese e fonte, secondo numerose voci concordi, della lentezza e dell’inefficienza dell’apparato legislativo e del governo, nei confronti di una società e di un’economia preda di cambiamenti repentini, improvvisi e radicali.
Nella bozza predisposta dai saggi, la Camera dei deputati diventerebbe l’unico ramo parlamentare ad essere investita della funzione di accordare la fiducia al governo, mentre il Senato, trasformato in Camera delle autonomie, sul modello del Bundesrat tedesco, svolgerebbe una funzione di controllo oltreché di rappresentanza degli interessi territoriali, con ampi poteri d’intervento sulle questioni riguardanti regioni ed enti locali. Altra certezza maturata nel conclave dei tecnici quella dell’urgenza di superare l’attuale sistema elettorale.
Sul Porcellum grava sempre il rischio di dichiarazione d’incostituzionalità da parte della Consulta. Ecco perché l’approvazione di nuove regole elettorali diventa priorità assoluta della politica, anche a costo di scindere la riforma del sistema elettorale dal resto del corpus delle proposte.
Sul versante del potere esecutivo, i saggi si sono espressi nella direzione di dotare il primo ministro del potere di revoca e nomina dei ministri, sulla scorta di quanto avviene nel modello inglese, per garantirgli maggiore forza sul piano dell’indirizzo politico del governo.
Il testo-base su cui il Parlamento sarà chiamato a discutere e votare potrebbe approdare nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama prima dell’estate, anche se, dopo i numerosi fallimenti e dietrofront, appare lecito nutrire qualche perplessità sul buon esito dell’operazione.