In Norvegia i colloqui per la formazione del nuovo governo sono cominciati ufficialmente lunedì scorso. Allo stesso tavolo la Destra, Il Partito del Progresso, il Partito Popolare Cristiano e il Partito Liberale.
Erna Solberg, leader della Destra e primo ministro in pectore, ha dichiarato che ci sono delle questioni difficili da risolvere ma che da parte di tutti c’è l’intenzione di continuare a discutere per arrivare a un accordo soddisfacente. Resta in piedi l’ipotesi di un governo a quattro: Solberg dice di crederci.
Su una cosa sono d’accordo tutti: ci vorrà del tempo. Le posizioni di partenza infatti non sono cambiate. Opinioni diverse ci sono sull’immigrazione, sul petrolio, sul fisco. Un accordo va trovato entro il 14 ottobre, quando il governo guidato dal laburista Jens Stoltenberg si dimetterà.
Questi primi giorni sono stati contraddistinti dalla cautela, ma sottotraccia si intravedono tensioni e malumori ampiamente attesi. È il caso ad esempio del Partito Popolare Cristiano. Poco prima dell’inizio dei colloqui, il leader Knut Arild Hareide ha ricevuto un avvertimento chiaro e tondo: attenzione ad entrare a far parte di un governo insieme al Partito del Progresso. Il Vårt Land ha pubblicato una lettera firmata da 24 tra ex ministri e membri di spicco del partito, tutti convinti che i cristiano popolari dovrebbe restare ben distante da un esecutivo del genere.
Un certo disagio lo si rintraccia anche nel Partito del Progresso. A manifestarlo è Carl Hagen, che il partito l’ha guidato dal 1978 al 2006. Per lo storico (e ingombrante) ex leader, vedere il proprio partito sedere insieme a Liberali, Cristiano Popolari e Conservatori è dura .
Hagen lo ha ammesso senza nascondersi, come ha ammesso di faticare a mandar giù l’idea di dover restare ormai un passo indietro. Sa di dover stare lontano dalla mischia, tanto da affermare che continuerà a dire la sua su Facebook ma ci penserà due volte prima di premere il tasto ‘invia’. Un’ulteriore dimostrazione di come questa fase politica sia particolarmente delicata anche per il Partito del progresso, che per la prima volta nella sua storia si trova ad essere a un passo dal governo
In Finlandia, l’esecutivo ha portato in commissione la sua proposta di bilancio: un risparmio di altri 600 milioni di euro verrà ricavato da tagli alla difesa e ai servizi locali. Aumenta invece il costo di alcol e tabacco.
Ma queste misure non impediranno alla Finlandia di superare una soglia psicologica. Helsinki infatti ha diramato le previsioni sul proprio debito pubblico, che dovrebbe salire al 60,7% nel 2014 e al 62% nel 2015, e quindi oltre il 60 per cento del rapporto debito/Pil fissato dai parametri di Maastricht. Ed è la prima volta che accade, considerato che la Finlandia finora è stato l’unico paese a non aver mai sforato i criteri del Patto di Stabilità.
Per un paese che sta nell’Unione europea a tutti gli effetti, un altro le volta le spalle. È l’Islanda, dove il governo di centrodestra ha deciso: no all’adesione dell’isola all’Ue. La squadra di negoziatori è stata sciolta.
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In Danimarca, intanto, il governo guidato dai laburisti ha presentato le sue strategie per le persone che vivono ai margini della società: più corsi di formazione per i giovani disoccupati, politiche di sostegno per i tossicodipendenti, aiuti all’infanzia. Le reazioni degli esperti sono però fredde: sforzi insufficienti, poco mirati, parole che rischiano di restare tali. E poco soddisfatte sono pure le associazioni ecologiste, che bacchettano il governo: troppo poco s’è fatto per la salvaguardia dell’ambiente.
E così sul governo piovono ancora critiche per questi due anni passati al potere. Gli effetti si vedono. Rispetto al 2011 (quando Socialdemocratici, Sinistra Radicale e Partito della Sinistra hanno vinto le elezioni) i tre partiti hanno perso complessivamente qualcosa come 10.000 membri e circa il 12 per cento del sostengo elettorale.
Altrettanto difficile è in Svezia la situazione che sta vivendo l’attuale governo di centrodestra guidato da Fredrik Reinfeldt, che con un anno a disposizione deve provare a ribaltare una situazione apparentemente irrimediabile. Le elezioni sono in programma il prossimo autunno, ma a una riconferma del centrodestra non crede quasi nessuno. Nei sondaggi il distacco tra l’attuale governo conservatore e l’opposizione rosso-verde oscilla intorno ai 10 punti.
Reinfeldt ha appena effettuato un rimpasto di governo che fino a pochi giorni aveva negato di voler fare: Gunilla Carlsson lascia il suo posto alla guida del dicastero della Cooperazione e lo sviluppo internazionale. A sostituirla Hillevi Engström, che cede a Elisabeth Svantesson il ministero dell’Occupazione. Ma i problemi restano.
Sull’Aftonbladet il politologo MagnusHagevi si sbilancia nel dire che con dodici mesi a disposizione la missione del centrodestra appare destinata a fallire. Ulf Bjereld, docente all’Università di Göteborg, aggiunge che il Partito Popolare Liberale, oggi nella coalizione di centrodestra, alla fine potrebbe appoggiare un governo rosso-verde.
Nel frattempo, i laburisti hanno le strategie chiare per questo intenso anno elettorale. A svelare le mosse dei socialdemocratici è stato il quotidiano Aftonbladet, scrivendo che la sinistra punta ad apparire agli occhi degli svedesi più proiettata verso il futuro. I binari su cui muoversi: finanze pubbliche, scuola e occupazione. E poi: insistere sul fatto che l’attuale governo di centrodestra è un governo stanco, che ha creato una società più fredda.
Un’immagine che poi non è neanche troppo lontana da quella che hanno in testa gli svedesi, sempre più convinti che la Svezia sia cambiata negli ultimi anni: percepiscono un paese più povero, con un welfare peggiore, che non assorbe la disoccupazione.
Proprio il capitolo dei senza lavoro rischia di pesare tantissimo quando si andrà a votare: il ministro delle Finanze Anders Borg ha dichiarato che la disoccupazione resterà intorno all’8,2 per cento anche l’anno prossimo, per aspettare un miglioramento bisognerà aspettare il 2017 quando le previsioni parlano di un livello al 6,4.
Il governo, sostiene Borg, continuerà a lavorare per creare posti di lavoro, per favorire la crescita e per tenere le tasse il più basse possibile. Ma forse gli svedesi si stanno convincendo che c’è troppo da aspettare, prima di una netta inversione di rotta. E pensano seriamente di cambiare timoniere.