Berlusconi, il video attacca ma non graffia

Pubblicato il 19 Settembre 2013 alle 11:50 Autore: Gabriele Maestri

Alla fine i 16 minuti più attesi delle ultime settimane sono arrivati. Annunciati, promessi, ritirati, limati, embargati e poi finalmente trasmessi. Il videomessaggio di Silvio Berlusconi per qualcuno viene direttamente dal 1994, come se fosse in diretta con il primo, storico filmato, quello del lancio di Forza Italia. C’è chi, solo per questo, parla di ottima notizia e sente come allora profumo di vittoria. Per altri, è solo segno che Berlusconi è rimasto indietro di quasi vent’anni.

In effetti, qualcosa è rimasto in entrambi i messaggi, a partire dalla cura con cui è stata allestita la “scenografia” del discorso (con i libri, le foto incorniciate rigorosamente rivolte verso lo spettatore e non verso chi sta alla scrivania e il doppiopetto con le ritrovate camicia e cravatta). Eppure qualcosa è cambiato e – in fondo – non sono proprio dettagli.

E’ vero, Berlusconi non era al governo nel 1994 e non lo è (formalmente) ora. Ma al suo debutto cercava di conquistare per la prima volta Palazzo Chigi (riuscendoci, al primo colpo), stavolta cerca di non precludersi la possibilità che il suo partito “destato dal sonno” (ovviamente con riferimento a Fi) torni a guidare l’esecutivo, avendo sempre lui come riferimento.

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Per la prima volta il Cavaliere ammette pubblicamente che la decadenza e la distanza da cariche istituzionali può fare parte del suo destino (“Io sarò sempre con voi, al vostro fianco, decaduto o no. Si può far politica anche senza essere in Parlamento”). L’eventualità gli pesa, non lo dice espressamente ma lo si comprende bene dalla sua stessa giustificazione: “Non è il seggio che fa un leader, ma è il consenso popolare, il vostro consenso”.

Proprio il nuovo consenso a Forza Italia sarebbe per Berlusconi un balsamo e un rammarico, per non poterne più godere direttamente e – non lo si trascuri – per non averne goduto a sufficienza prima: se nella parte finale del messaggio lui si limita a richiamare la fidelizzazione degli elettori e a invitare all’unità, all’inizio risfodera un tasto dolente, un rimprovero a chi non gli ha dato abbastanza. “Devo ricordare che gli elettori purtroppo non ci hanno mai consegnato una maggioranza vera”. Il “devo” suona come un buffetto (nemmeno affettuosissimo) a chi, col proprio voto, è in parte responsabile dei risultati non ottenuti dai governi a guida Berlusconi.

Tutto questo nel 1994 non c’era, non poteva esserci. Come non poteva esistere il riferimento alla compagine ministeriale su cui ora invece il Pdl può contare, per “imboccare la strada maestra del liberalismo”, come in fondo si proponeva vent’anni fa già nella fase di costruzione del movimento politico – ammesso e non concesso, ovviamente, che Berlusconi abbia davvero compreso il significato del  “liber(al)ismo”.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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