Alla fine i 16 minuti più attesi delle ultime settimane sono arrivati. Annunciati, promessi, ritirati, limati, embargati e poi finalmente trasmessi. Il videomessaggio di Silvio Berlusconi per qualcuno viene direttamente dal 1994, come se fosse in diretta con il primo, storico filmato, quello del lancio di Forza Italia. C’è chi, solo per questo, parla di ottima notizia e sente come allora profumo di vittoria. Per altri, è solo segno che Berlusconi è rimasto indietro di quasi vent’anni.
In effetti, qualcosa è rimasto in entrambi i messaggi, a partire dalla cura con cui è stata allestita la “scenografia” del discorso (con i libri, le foto incorniciate rigorosamente rivolte verso lo spettatore e non verso chi sta alla scrivania e il doppiopetto con le ritrovate camicia e cravatta). Eppure qualcosa è cambiato e – in fondo – non sono proprio dettagli.
E’ vero, Berlusconi non era al governo nel 1994 e non lo è (formalmente) ora. Ma al suo debutto cercava di conquistare per la prima volta Palazzo Chigi (riuscendoci, al primo colpo), stavolta cerca di non precludersi la possibilità che il suo partito “destato dal sonno” (ovviamente con riferimento a Fi) torni a guidare l’esecutivo, avendo sempre lui come riferimento.
Per la prima volta il Cavaliere ammette pubblicamente che la decadenza e la distanza da cariche istituzionali può fare parte del suo destino (“Io sarò sempre con voi, al vostro fianco, decaduto o no. Si può far politica anche senza essere in Parlamento”). L’eventualità gli pesa, non lo dice espressamente ma lo si comprende bene dalla sua stessa giustificazione: “Non è il seggio che fa un leader, ma è il consenso popolare, il vostro consenso”.
Proprio il nuovo consenso a Forza Italia sarebbe per Berlusconi un balsamo e un rammarico, per non poterne più godere direttamente e – non lo si trascuri – per non averne goduto a sufficienza prima: se nella parte finale del messaggio lui si limita a richiamare la fidelizzazione degli elettori e a invitare all’unità, all’inizio risfodera un tasto dolente, un rimprovero a chi non gli ha dato abbastanza. “Devo ricordare che gli elettori purtroppo non ci hanno mai consegnato una maggioranza vera”. Il “devo” suona come un buffetto (nemmeno affettuosissimo) a chi, col proprio voto, è in parte responsabile dei risultati non ottenuti dai governi a guida Berlusconi.
Tutto questo nel 1994 non c’era, non poteva esserci. Come non poteva esistere il riferimento alla compagine ministeriale su cui ora invece il Pdl può contare, per “imboccare la strada maestra del liberalismo”, come in fondo si proponeva vent’anni fa già nella fase di costruzione del movimento politico – ammesso e non concesso, ovviamente, che Berlusconi abbia davvero compreso il significato del “liber(al)ismo”.
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Anche qui, però, qualcosa è cambiato. Nel messaggio del 1994, Berlusconi snocciolò il suo credo, elencando come capisaldi l’individuo, la famiglia, l’impresa, la competizione, lo sviluppo, l’efficienza, il mercato libero, la solidarietà come “figlia della giustizia e della libertà”. Stavolta, tra le riforme “indispensabili per modernizzare il paese”, il Cavaliere mette come priorità la giustizia.
Se nel 1994 poteva pensare ai partiti cancellati da Tangentopoli (dimenticandosi forse che il malaffare esisteva davvero), ora pensa al suo cursus honorum di processi penali (anche se per modernizzare il paese bisognerebbe riformare soprattutto il processo civile).
E’ proprio la difesa dalla propria vicenda giudiziaria che occupa la parte centrale e più corposa del discorso. Non vale la pena di analizzarla, perché è una sorta di collage di cose già dette negli anni su Pm e giudici, soprattutto dalla prima condanna al risarcimento danni a favore di Carlo De Benedetti sul caso “lodo Mondadori”. Si può però dire che la quantità di accuse rovesciate sulla magistratura la individua come primo bersaglio del messaggio, ancora di più della sinistra che pure resta ben visibile sullo sfondo, anche grazie ai continui riferimenti a Magistratura democratica.
E, a proposito di sinistra, in questo messaggio va segnalata l’estinzione dei comunisti. Non certo nella mente di Berlusconi, ma nel discorso sì. Non va oltre la citazione della “via giudiziaria al socialismo”, parlando sempre della magistratura. Certo, ripete “che è rimasta sempre la stessa: la sinistra dell’invidia, del risentimento e dell’odio” e non sono parole leggere, ma in questo revival di Forza Italia manca quella parola forte, che certamente nel 1994 aveva fatto presa e che è stata usata per tante volte in seguito, anche quando in Parlamento partiti che si considerassero comunisti non ce n’erano più.
Anche questo, in fondo, è un piccolo segno di cambiamento, che rischia di passare sotto silenzio nella ricerca di altri particolari, ad esempio di riferimenti al governo. Come è noto ce n’è uno solo, quello ai ministri di cui si parlava prima. Si dice che è il segno che, per ora, il governo non cade. Probabile. Ma se le proposte volte a “fermare il bombardamento fiscale” di famiglie e imprese non dovessero andare in porto (ad esempio per l’aumento dell’Iva o per la necessità di intervenire di nuovo sull’Imu), lo scenario potrebbe cambiare in fretta. Anche se potrebbe non significare la fine del governo Letta, qualora si trovino soluzioni diverse.
Infine, “Forza Italia!” Con le virgolette e l’esclamativo, visto che ci si riferisce al finale del discorso. Il nome del partito è ad un tempo l’esortazione, ripetuta tre volte, in tono sempre più imperioso, quasi militaresco alla fine, e vorrebbe essere il climax finale del messaggio, dopo il messaggio definitivo della “ultima chiamata prima della catastrofe”. E invece potrebbe non essere così. Perché i messaggi, quando sono ripetuti, possono nascondere in sé una certa debolezza (lo sapeva bene, per dire, Lucio Battisti, che nell’ultima sua vita musicale aveva abolito i ritornelli dai testi di Pasquale Panella).
E allora, l’invito ripetuto più volte, quasi a voler suscitare un coro del pubblico, potrebbe avere una risposta collettiva sì, ma forse meno corposa del previsto. Più fiacca e più fioca. Un po’ come – per chiudere il cerchio sulla scenografia ricordata prima – l’immagine del Cavaliere. Stavolta non c’è la “luce da calza”, lo studio è molto più chiaro rispetto al “set” del 1994, eppure è Berlusconi a sembrare pallido e meno incisivo, nonostante la durezza delle parole. L’ora è grave, quindi il sorriso non c’è, sono passati pur sempre quasi vent’anni, eppure non basta a spiegare perché questo messaggio attacca molto, ma graffia assai meno.