Ora, se non altro, una proposta di data c’è. L’8 dicembre, per i credenti cattolici giorno dell’Immacolata Concezione, potrebbe essere anche il giorno in cui gli iscritti del Partito democratico saranno chiamati a votare per indicare il loro segretario nazionale. Questa, per lo meno, è la proposta che Guglielmo Epifani ha lanciato dalla tribuna dell’Assemblea nazionale Pd, sentiti i due vicepresidenti dell’organo, Ivan Scalfarotto e Marina Sereni.
La decisione, ovviamente, non è definitiva, soprattutto perché manca l’accordo di base sulle regole che dovrà avere il congresso e, in particolare, sulla sua scansione temporale, in particolare per quanto riguarda l’elezione dei vertici locali del Pd (se dovrà precedere o seguire quella del segretario nazionale), cosa che più potrebbe incidere sui tempi.
Il fatto è che la Commissione del congresso, che una bozza di regole avrebbe dovuto stenderla entro ieri, sta ancora lavorando, per cui Roberto Gualtieri, che avrebbe dovuto presentare il contenuto della discussione in una relazione, dovrà intervenire domani mattina in apertura dei lavori. “Alle 9 e 30, puntuali, mi raccomando – precisa al microfono la vicepresidente Sereni – altrimenti vi dico le 9 per iniziare comunque alle 9 e 30”.
Di fatto, dunque, il primo giorno di assemblea si esaurisce in un’ora scarsa di tempo, la relazione del segretario Epifani e poco più. Ai tanti che erano già arrivati oggi per iniziare a discutere seriamente di regole, tutto questo non garba per niente, e qualcuno lo dice al microfono. “Scusate, ma mi sembra di essere in una puntata di Ai confini della realtà – lamenta Paolo Cosseddu – noi siamo venuti addirittura un giorno prima e non ci sono le regole da discutere… è una situazione paradossale!”
“E’ un’osservazione ragionevole e ci scusiamo di questo – replica la Sereni – ma la Commissione ha lavorato ininterrottamente e ieri è stata rallentata dai lavori parlamentari“. Fa una pausa brevissima, durante la quale realizza che probabilmente, la percentuale dei presenti che credono a questa versione “ufficiale” rasenta lo zero, così aggiunge subito “e poi, li leggete anche voi i giornali, quindi sapete già…”.
Quello che di certo non sapevano – e non potevano sapere fino a un’oretta prima – era cosa avrebbe detto effettivamente il segretario Pd Epifani. Il quale, come era comprensibile, ha tenuto la questione congresso per ultima, in fondo. Ma veramente in fondo, più di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Prima di arrivare a parlare delle regole dell’assise e di “dare la data” – una delle pochissime cose che i presenti aspettano e per cui sono lì – Epifani parla per 40 minuti.
Nella prima mezz’ora scarsa, chi è arrivato all’Auditorium della Conciliazione assiste impotente a una lunga (ma per Epifani “necessaria” introduzione) sulla vicenda giudiziaria e parlamentare di Berlusconi, sul suo videomessaggio (“una foto ingiallita di un film già visto” che peraltro appesantisce il clima con le invettive contro il centrosinistra e la magistratura), sulla stima per Napolitano, sulle colpe del governo Berlusconi in economia e sull’Iva che non va assolutamente aumentata.
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Nel frattempo, in sala è entrato Matteo Renzi: arrivato in taxi all’Auditorium, dribbla con un “Non lo so” chi gli chiede se c’è l’accordo sulle regole, poi si mette tra le ultime file.
Fa così in tempo a sentire il segretario Pd che, incredibilmente, si diffonde a lungo a parlare di Siria e di Europa, mentre i membri dell’assemblea dem si chiedono quando finalmente potranno ascoltare i punti per cui sono arrivati da tutta l’Italia.
Dopo mezz’ora, non è ancora tempo di parlare di congresso, ma se non altro di temi più concreti e all’ordine del giorno sì. Così, dopo aver precisato che “Per portare avanti il governo non basta la responsabilità di uno solo, non è sufficiente solo la nostra scelta” (per evitare una replica del governo Monti che alla fine ha fatto male al Pd), Epifani prende più concretezza, anche se scivola più di una volta sull’italiano.
Arriva anche a parlare di un “ddl in difesa dell’omofobia”, salvo correggersi poco dopo, difendendo pure Ivan Scalfarotto dalle accuse che gli sono state rivolte dalle associazioni del mondo omosessuale (“Abbiamo dovuto cercare un compromesso perché senza, non avremmo avuto i numeri per fare un primo passaggio comunque decisivo. Non mi piacciono le minacce, non ne possiamo più, come contro la Kyenge”). Epifani si schiera poi con decisione a favore dell’archiviazione del Porcellum e dell’introduzione di un tetto ai finanziamenti privati ai partiti.
Poi, dopo 40 minuti, finalmente il congresso. Un congresso che – lo ammette lo stesso segretario – dovrà “rinnovare il Pd, rafforzarne l’identita’, farne un partito aperto e inclusivo, ma che sia un partito con sede di discussioni e decisioni” e, senza rinunciare a una guida forte, “ridurre il ruolo delle correnti in favore di un pluralismo più forte e riconoscibile di idee”, anche se non spiega in che modo secondo lui ci si può arrivare.
Cerca di smussare l’asperità del nodo sulla coincidenza del segretario e del candidato alla premiership, sostenendo che si possono trovare “formule che tolgono l’automatismo e consentono la flessibilità che abbiamo avuto nella passata esperienza”, con un chiaro messaggio rivolto ai renziani, che quella flessibilità avevano voluto alla fine del 2012. Sulla questione dei congressi locali Pd insiste perché si svolgano prima della data prevista per l’elezione del segretario nazionale: “Dobbiamo partire dal basso”, anche perché in primavera ci saranno le elezioni europee e il turno più nutrito delle amministrative, quindi i dirigenti locali vanno rilegittimati.
Infine, la data: “Noi dobbiamo svolgere il Congresso entro l’anno” chiarisce Epifani e, precisando che comunque la decisione spetta alla presidenza (come a dire che su questo non si vota), lui suggerisce la data dell’8 dicembre dopo aver parlato con Scalfarotto e la Sereni. Un compromesso tra il 24 novembre dei renziani e il 15 dicembre dei sostenitori di Cuperlo ed ex bersaniani. Se ne parlerà domani e si discuterà su molto altro, ma si dovrà uscire dall’assemblea Pd con le regole fatte. “Che faccio, commento date? La commissione sta lavorando, aspettiamo le regole…” si limita a dire Renzi ai giornalisti, scuro in volto. I suoi, c’è da giurarlo, daranno battaglia.