Il 1° Ottobre il Comitato Centrale di Fatah, in una riunione presieduta dal Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, ha dato il nullaosta all’accordo di riconciliazione con Hamas. L’intesa è il frutto di diversi round di negoziati tenutisi a Istanbul, Doha, Il Cairo e Amman, e rappresenta un passo importante per il superamento di uno stallo politico che si protrae da quasi quindici anni.
La frattura si era aperta nel 2007 a seguito del fallimento del governo di unità nazionale nato dopo le elezioni del 2006. Da allora tutti i tentativi di arrivare ad una ricomposizione del conflitto erano caduti nel vuoto a causa dell’impossibilità di trovare una linea comune su tre dossier: gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, lo status di Gerusalemme e diritto al ritorno.
La svolta è arrivata con gli Accordi di Abramo, firmati il 15 Settembre a Washington da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain. I trattati, che sanciscono la nascita di relazioni diplomatiche ufficiali tra lo stato ebraico e i due stati arabi, rappresentano il superamento di fatto dell’Iniziativa di Pace Araba del 2002, secondo la quale nessun Paese della Lega Araba avrebbe dovuto stabilire relazioni con Israele prima della creazione di uno stato palestinese indipendente e del ritiro di tutti i cittadini israeliani dalla Palestina. La firma dei trattati è stata accolta con sdegno in Palestina, dove sia Hamas che Fatah hanno descritto l’evento come un atto di tradimento.
Per scongiurare il pericolo sempre più concreto di isolamento internazionale, le principali fazioni politiche palestinesi si sono incontrate a più riprese tra Agosto e Settembre al fine di superare i loro dissidi. L’accordo Fatah-Hamas, raggiunto a Istanbul il 24 settembre, è il risultato più importante per due motivi.
Primo, rimuove l’ostacolo principale per la creazione di un governo di unità nazionale in grado di far valere meglio le ragioni dell’ANP ai tavoli negoziali. Secondo, testimonia il ruolo sempre più importante della Turchia in qualità di portavoce degli interessi palestinesi.
Secondo i termini dell’accordo si dovranno tenere, nel giro di sei mesi, elezioni parlamentari (le prime dal 2006), elezioni presidenziali ed elezioni per il Consiglio Nazionale Palestinese. Condicio sine qua non per la buona riuscita dell’iniziativa è che le elezioni siano “libere, trasparenti e basate su un sistema di rappresentanza proporzionale in tutti i territori palestinesi, a partire da Gerusalemme Est”.