Neutralità è libertà
Rischia di passare come una questione da tecnici e tecnocrati o, peggio, come una scelta di politica dell’innovazione illuminata e dalla parte dei cittadini la proposta di regolamento europeo presentata nei giorni scorsi dalla Commissaria europea all’agenda digitale Neelie Kroes in materia di mercato unico delle comunicazioni elettroniche.
Sarebbe, tuttavia, un errore egualmente drammatico credere all’una o all’altra ricostruzione sin qui proposta – salvo rare eccezioni – dai pochi media europei che hanno dato spazio alla notizia.
La nuova disciplina europea sul mercato delle comunicazioni elettroniche è, infatti, una questione che riguarda ciascuno di noi straordinariamente da vicino giacché, nella società dell’informazione, dettare le regole del sistema delle comunicazioni elettroniche significa dettare regole destinate a produrre effetti immediati sulla misura della democrazia, della libertà di informazione e della concorrenza di cui disporremo in futuro.
Ed è per questo che è sconcertante prendere atto di come una notizia tanto importante per il futuro di tutti i Paesi dell’Unione europea sia sostanzialmente passata inosservata – salvo le poche consuete eccezioni – e non abbia destato interesse alcuno da parte dei grandi media nazionali e dei nostri politici e governanti, evidentemente, troppo impegnati ad azzuffarsi sulle minuscole beghe e scaramucce di quartiere per occuparsi di ciò che sta accadendo tra Strasburgo e Bruxelles.
A voler raccontare in un pugno di caratteri una questione complessa che si snoda lungo le oltre settanta pagine della proposta di Regolamento che la Commissione Europea si accinge a trasmettere al Parlamento, potrebbe dirsi che le nuove regole mentre stabiliscono un sacrosanto principio generale in forza del quale i fornitori di accesso ad internet devono riconoscere agli utenti il diritto di usare le risorse di connettività per accedere, in modo non discriminatorio, a qualunque genere di contenuto o servizio, introducono, al tempo stesso, una macroscopica eccezione – tanto importante da apparire destinata a divenire la regola – secondo la quale gli stessi fornitori di accesso possono, comunque, stringere accordi con i fornitori di servizi e contenuti allo scopo di garantire a questi ultimi speciali condizioni di utilizzo delle medesime risorse di connettvità.
Naturalmente dato che le risorse di connettività sono un bene “finito”, garantire migliori condizioni a qualcuno significa automaticamente riservarne peggiori a tutti gli altri.
Eccolo lo scenario che le nuove regole disegnano all’orizzonte: una Rete più simile al sistema televisivo di ieri – accessibile a pochi grandi oligopolisti – che a quello che tutti ci saremmo immaginati essere quello di domani ovvero un sistema aperto e capace di premiare i migliori e garantire a tutti libertà di concorrenza e, soprattutto, di informazione in termini attivi e passivi.
Provare a tradurre i principi cristallizzati nell’art. 23 del nuovo schema di Regolamento in concreto è un esercizio che fa accapponare la pelle.
Le nuove regole, infatti, nella sostanza consentiranno ai giganti dell’informazione di accordarsi con i giganti dell’editoria digitale e dei servizi online in modo da garantire loro un posto in prima fila nel mercato di contenuti e dei servizi online.
Questo significa meno concorrenza e possibilità di accesso al mercato per i più piccoli e gli esordienti ma, soprattutto, niente pluralismo informativo, lo stesso male del quale il nostro Paese si è ammalato tanti anni fa per colpa di una irresponsabile e corrotta politica di ripartizione ed assegnazione delle frequenze TV che ha consentito lo sviluppo del duopolio RAISET, padre putativo di molti dei guai italiani.
Ciò che è accaduto ieri, ora, potrebbe accadere di nuovo domani.
Gli accordi benedetti dalla Commissione europea tra fornitori di accesso alle autostrade dell’informazione e fornitori di contenuti e servizi, infatti, avranno inesorabilmente l’effetto di assicurare di nuovo a pochi grandi signori della Rete i “tasti” da 1 a 9 sul “telecomando” di domani.
Il nostro fornitore di accesso a Internet sceglierà per noi quali giornali leggeremo, dove faremo la spesa e, per questa via, per chi voteremo.
Una storia maledettamente uguale a quella che abbiamo già vissuto.
La tv di Stato e le TV commerciali capaci di imporre una subcultura unica e di accompagnarci nei primi grandi supermercati e poi, persino, a votare, quasi per mano come se le libertà di cultura, mercato, informazione e scelta politica non ci appartenessero o fossero, comunque, inutili e rinunciabili orpelli.
Non possiamo lasciare che accada di nuovo. Non qui, non in un Paese che non ha ancora finito di pagare – in termini democratici ed economici – il conto salatissimo presentatole dalle regole del mercato e da quelle della democrazia che, come è noto, esigono concorrenza, pluralismo e libertà di informazione e puniscono quei Paesi che scelgono di farne a meno o accettano che taluno gli imponga di rinunciarvi.
E’ urgente che il tema dlla neutralità della rete venga sdoganato dal ghetto per tecnocrati nel quale a troppi fa comodo che rimanga nascosto ed è urgente che diventi un tema di discussione e confronto economico, sociale e politico.
Ci si riuscirà? E’ un’impresa ardua perché, sfortunatamente, contro remano più o meno gli stessi signori dei monopoli e degli oligopoli di ieri e di oggi.