Torna a parlare l’ex segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani. E lo fa dalle colonne del giornale del partito, l’Unità.
Bersani risponde alle accuse di chi l’ha individuato come l’autore delle grandi manovre per il rinvio del congresso: “Ho smesso di fare il segretario ma non ho smesso di ragionare per la ditta, con le mie idee, ma per la ditta e alla luce del sole – spiega. – Non accetto che mi si attribuiscano manovre”.
Poi un attacco all’assemblea nazionale, riunitasi lo scorso weekend, nella quale il partito ha trascorso due giorni a parlare e a dividersi sulle regole: “Credo che sia stata una cosa incredibile e umiliante quella avvenuta durante queste settimane: una discussione tutta su date e regole”.
“Dal mio punto di vista una comunità che si fosse fidata di se stessa avrebbe dovuto pronunciarsi sulla data più ravvicinata, senza togliere al territorio la possibilità di discutere nei congressi, proponendo ragionevoli modifiche allo Statuto che aiutassero questo percorso. Nell’Assemblea, invece, tutto questo è saltato alla luce del sole, non mi sembra ci siano dubbi su chi voleva le modifiche e chi no”.
Bersani, infine, dice la sua anche sulla natura delle primarie convocate il prossimo 8 dicembre e, di conseguenza, sul profilo che dovrebbe avere il futuro segretario: “È chiaro che se arriviamo ad un congresso che si orienta a decidere l’8 dicembre su un candidato premier senza che l’attuale premier si possa candidare si mette in campo un elemento di confusione” afferma l’ex segretario, che puntualizza: “La mia proposta è sempre stata quella di non rendere automatico che il segretario sia anche il candidato premier. Credo che spetti a tutti i candidati affrontare in Direzione questo problema e risolverlo con unità. Se non accadrà noi offriremo una prateria alla destra”.
Dalle parole dell’ex ministro del governo Prodi emerge la confusione che regna sovrana nel Pd. Sul tema delle regole, tanto per fare un esempio, un anno fa la situazione era esattamente invertita: Bersani e i suoi che premevano per mantenere l’automatismo tra segretario e candidato premier, con Matteo Renzi che invece riusciva a strappare la deroga allo statuto, così da poter correre alle primarie per la premiership.