La recente Assemblea Nazionale del Partito Democratico, chiamata a disegnare il congresso che verrà, ha avuto un esito ampiamente al di sotto delle aspettative di chi aspetta con ansia di girare pagina in una storia di partito fino a questo momento così avara tanto di soddisfazioni elettorali e politiche, quanto di creazione di quel senso di comune appartenenza, familiarità e comunità che un vero partito dovrebbe avere come aspirazione.
L’Assemblea, se non altro, è riuscita a fissare la data delle primarie e a fare da passerella per tutti e quattro i candidati alla segreteria nazionale, e, anche se mancano ancora alcuni giorni per l’ufficializzazione delle candidature, è ormai possibile tracciare un identikit di coloro che si contenderanno, nell’arco dei prossimi mesi, la successione al traghettatore Gugliemo Epifani.
Quattro candidati, per un partito che aspira al ruolo di prima forza politica del Paese e che si propone come partito di massa e aperto al dibattito, non sono certo un’esagerazione; le elezioni primarie non sono un’istituzione matura in Italia, e sono asimmetricamente utilizzate solo dallo schieramento progressista del Paese – salvo i recenti esperimenti del M5S in merito – ma volgendo lo sguardo alle democrazie anglosassoni, emergono con prepotenza i dati delle primarie americane: nel 2008 quelle democratiche videro quattordici candidati e quelle repubblicane diciassette, nel 2012 i repubblicani partirono addirittura con ventitrè candidati.
Le quattro candidature ad oggi in piedi – Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella – offrono programmi per il Paese a tratti anche parecchio differenti tra di loro, ma sono soprattutto portatori di differenti visioni dell’idea di Partito Democratico.
Il PD è ad oggi un’opera sostanzialmente incompiuta, un partito incapace di scegliere una linea politica chiara, bloccato da una miriade di correnti e interessi personali eredi delle forze che hanno contribuito a fondare il movimento o semplicemente attratti nei suoi primi vagiti dall’ idea di apertura e scalabilità.
Un partito di questo genere, privo di una visione di fondo, difficilmente può operare per il bene del Paese, ed è pertanto necessario che i candidati alla segreteria, oltre ad offrire una proposta politica per l’Italia, siano anche in grado di disegnare un partito adeguato a supportare tale proposta, un partito che si basi sulle regole e non sulle eccezioni e dotato di una struttura, quale che sia, volta finalmente ad uno scopo che non sia l’autoperpetuazione.
La corsa per il Congresso democratico, se vissuta in un clima di dibattito e non di scontro, e ricordando l’esempio lungimirante di Hillary Clinton e del suo appoggio incondizionato a Obama una volta perse le primarie del 2008, può e deve essere sfruttata in chiave elettorale nel 2014, anno di per sé denso di impegni con le elezioni europee ed amministrative, e con lo spettro delle elezioni politiche sempre in agguato.
Le macchine elettorali dei singoli candidati, se coordinate e messe a disposizione del PD, potranno essere una risorsa fondamentale nella riconquista di un consenso sempre più sfuggente.
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Matteo Renzi, sindaco di Firenze, è senza alcun dubbio il candidato più accreditato per la vittoria finale, con un margine piuttosto ampio sui suoi avversari. Sfruttando la propria posizione per certi versi estranea al PD e la macchina organizzativa delle primarie 2012, il sindaco di Firenze ha mantenuto un tono da campagna elettorale permanente che gli ha garantito ad oggi un’ampia rendita in termini di consenso.
Il messaggio politico di Renzi si articola su due temi: da un lato il superamento di alcuni temi propri della sinistra italiana con aperture a posizioni più liberiste, e dall’altro un fortissimo attacco all’attuale classe dirigente del PD, ribadito costanemente nel mantra della rottamazione.
Più di ogni altra cosa, Renzi incarna oggi l’immagine del personaggio vincente, ed il sogno che regala agli elettori e ai militanti del PD è quello di un partito finalmente orgoglioso delle proprie posizioni, meno disposto a cedere per amor di poltrona, capace di imporsi nelle competizioni elettorali e dettare finalmente la propria linea.
Questa immagine copre ampiamente alcune lacune del messaggio relative all’organizzazione interna del partito, al funzionamento della macchina , alla partecipazione dei militanti, alla struttura territoriale e nel web. La posizione di grande vantaggio di Renzi, tuttavia, è al tempo stesso la sua più grande debolezza. Perdere, ma anche solo non stravincere, sarebbe oggi per lui una sconfitta: è il solo che ha qualcosa da perdere in questa competizione.
Inoltre il suo messaggio di rinnovamento, fermo sulle stesse istanze ormai da più di un anno, rischia oggi di risultare appannato: i numerosi appoggi ricevuti da elementi di spicco della dirigenza PD, gli stessi contro cui nei mesi si sono lanciati i suoi strali, e l’assenza di una presa netta di distanza da simili endorsement pesano sulla sostanza della proposta e soprattutto sulla sua percezione.
Il sito di Matteo Renzi riflette in qualche modo il suo messaggio politico: unendo proposte e operato politico si presenta più che altro come una vetrina del personaggio. La home page offre una slide show e più in basso una struttura a blog che mischia manifesti politici a presentazioni dei suoi risultati come sindaco di Firenze. L’interazione, per il visitatore, è lasciata alla sottoscrizione dei vari social network e all’iscrizione ad una newsletter.
Fine pensatore, dotato di notevole equilibrio ma di un’ironia pungente di stampo british, con una visione molto strutturata del ruolo del partito e delle sue componenti, l’apporto di Gianni Cuperlo al congresso consiste nella riscoperta di una sinistra antropologica prima ancora che sociale.
La prova più forte della sua strategia comunicativa è il suo sito, dove appaiono in slide show una serie di dichiarazioni di intenti, anche piuttosto stringate e d’effetto, poi dettagliate attraverso rimandi specifici; il sito di Cuperlo si presenta quindi più che altro come un manifesto congressuale, corredato in forma di blog da una serie di articoli sia di approfondimento sia di narrazione.
Il punto più debole della candidatura di Cuperlo è legato da un lato alla sua apparizione piuttosto tardiva sul web, dove si è trovato a concorrere con avversari molto meglio strutturati e organizzati, e dall’altro dal fatto che i suoi temi difficilmente possono far breccia – pur se culturalmente, filosoficamente e politicamente essenziali – in un elettorato deluso e spesso rabbioso, in cui un clima esacerbato ha portato a confondere l’impegno intellettuale con l’inconsistenza del politichese.
Più di ogni altra cosa, tuttavia, Cuperlo risente del fatto di essere il volto giovane della vecchia dirigenza, troppo legato a esponenti del PD che per un verso o per l’altro ormai sono diventati oggetto di repulsione da parte della base. Sono questi sostegni scomodi che spesso spingono un potenziale votante alle primarie a cancellare il nome di Gianni Cuperlo dalla lista delle possibili scelte.
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La campagna di Pippo Civati è forse quella meglio strutturata nel mondo del web, soprattutto su Twitter dove dimostra di non avere rivali. È di pochi giorni fa il lancio della piattaforma Morpheus, uno strumento di adesione alla campagna del deputato lombardo che si pone molto oltre il significato di newsletter e consente agli interessati di interagire indicando le proprie competenze, le proprie idee o il tempo a disposizione da dedicare alla campagna di Civati; l’iscrizione al sistema consentirà ai referenti territoriali di avere sotto controllo il numero e potenzialmente l’umore degli iscritti, consentendo di intervenire celermente in casi di disaffezione.
Lo strumento sembra quanto di più simile in Italia all’uso intensivo e strutturato dei database dei militanti democratici che, messo al servizio della campagna porta a porta, consentì a Obama di portare al voto milioni di americani.
Colpisce a questo proposito l’estrema semplicità del suo sito, che nella home presenta praticamente solo un form di iscrizione; il significato simbolico di assenza di un manifesto imposto e di chiamata alla partecipazione personale è evidente, anche se una simile scelta potrebbe demotivare i simpatizzanti meno attivi.
Il suo principale punto di forza consiste nella libertà di movimento che si è ritagliato all’interno del partito, nella relativa coerenza del suo messaggio e nella sua posizione di “seconda scelta” per molti elettori che lo porrebbe a godere, in caso di approdo ad un’eventuale fase di ballottaggio, di un formidabile apporto di voti.
La campagna solitaria e senza sponsor è tuttavia anche il principale limite della sua candidatura: episodi come il falso annuncio del suo ritiro pubblicato da Il Corriere della Sera costituiscono battute d’arresto pesanti, a causa della difficoltà dimostrata a raggiungere gli elettori meno smaliziati nell’uso della rete e in generale meno attenti ai suoi movimenti e alle sue dichiarazioni.
Gianni Pittella è forse tra i più autorevoli europarlamentari italiani, e per quanto la sua candidatura alla segreteria del PD appaia ai più come una semplice candidatura d’opinione, ha oggi il merito di arricchire il dibattito congressuale di due temi focali: il Mezzogiorno del Paese, e l’Unione Europea.
La sua semplice presenza gli consentirà un ruolo nella scrittura della piattaforma di qualsiasi sarà la segreteria vincente, e, per un candidato senza ambizioni politiche ma solo programmatiche, questo significa già avere ottenuto un grandissimo risultato.
La home page del suo sito è estremamente semplice, e di fatto rimanda ad una divisione tra il suo blog personale ed il suo sito, quasi una separazione tra la parte programmatica e quella politica, e si pone in questa pur banale divisione in aperta contrapposizione al metodo usato da Renzi, dove invece una parte puntella l’altra.
In definitiva, comunque, chiunque vincerà le primarie e si ritroverà segretario, dovrà far sì che il vero vincitore sia il PD: pur nella dialettica di una lotta anche accesa, occorre che il dibattito non si trasformi mai in arena, che chi vince non umili gli sconfitti e offra loro la consapevolezza che il PD resta comunque la propria casa, e che chi perde rispetti il vincolo di leale sostegno al vincitore.
Il PD ha forse quest’ultima occasione di rinnovare la propria dirigenza e trovare finalmente una linea politica da mettere al servizio dell’Italia per spiegare con essa il motivo della propria esistenza, prima che altre forze occupino il vuoto politico che il maggior partito del centrosinistra non riesce a riempire.