Un altro guaio in sede europea per l’Italia, ma questa volta non riguarda le finanze statali. La Commissione Ue presieduta da José Manuel Barroso ha ufficialmente avviato una procedura d’infrazione contro Roma, colpevole di non aver fatto seguito alla sentenza della Corte di giustizia europea del novembre 2011, in cui s’invitava il legislatore a rimediare al vulnus giuridico concernente la responsabilità civile dei magistrati.
Alcuni collaboratori dell’organismo europeo, inoltre, hanno aggiunto che “se entro i prossimi mesi l’Italia non si adeguerà alla prima sentenza della Corte sarà deferita nuovamente ai giudici europei. Con il concreto rischio, questa volta, di dover pagare anche sanzioni pecuniarie”.
In realtà la legislazione italiana prevede l’avvio di meccanismi punitivi – in sede civile – per i magistrati solo in caso di “acclarato dolo o colpa grave”. Ma la Cassazione ha interpretato la norma in maniera così restrittiva da renderla sostanzialmente inapplicabile (e inapplicata).
La sentenza di Lussemburgo del 2011 reca le seguenti motivazioni: “Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.
Il diritto comunitario osta altresì a una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler”.
Dunque, secondo i giudici della Corte di Lussemburgo, la norma italiana contrasta con il diritto comunitario. Un comportamento simile è presente in Gran Bretagna, Francia e Spagna (anche in questi paesi bisogna dimostrare il dolo o, addirittura, non si può intervenire in alcun modo per via dell’immunità dei magistrati).
Nel febbraio 2012, il deputato leghista Gianluca Pini presentò un emendamento “riparativo” alla legge comunitaria, ma non venne approvato in seconda lettura al Senato. In quel frangente, l’Associazione nazionale magistrati chiese di “stralciare la norma Pini così come era stata presentata dal relatore”.
Pronta la reazione di Renato Brunetta, capogruppo Pdl a Montecitorio: “La responsabilità civile dei magistrati dev’essere legge, come da precisa norma della Ue – dice l’ex ministro –. In Italia non lo è. E l’Europa intende punirci. Il centrodestra si è battuto per far sì che anche i magistrati siano considerati cittadini uguali agli altri, almeno nel pagare i danni quando li provocano. La loro lobby, sostenuta dalla sinistra con equivoca compiacenza, ha impedito che questo principio elementare divenisse regola e prassi. Chi pagherà la multa? I magistrati? La sinistra? L’indignazione si mescola alla soddisfazione: c’è un giudice a Berlino, anzi a Bruxelles”.
Mentre Maurizio Gasparri esulta: “Serviva la Commissione Ue per riaffermare un principio elementare: chi sbaglia paga, anche se si tratta di un magistrato”. L’Europa c’è. Almeno quando conviene.