Le elezioni di febbraio sono state la sconfitta del bipolarismo, un sistema in realtà raramente vincente in Europa e anche in Italia, ma nell’immaginario collettivo ormai affermatosi nel nostro Paese. Ebbene, con ben quattro coalizioni che hanno superato il 10% che il porcellum prescrive come soglia per una distribuzione dei seggi “di favore”. E non solo nessun partito, ma nessuna coalizione ha raggiunto il 30%.
Eppure nulla, i media e l’intelligentisa nostrana hanno pensato bene che fosse da ignorare questo pluralismo, e da marzo in poi il copione è stato quello di perseverare un ballo a due tra PD e PDL, con il M5S a fare da funzionale terzo incomodo, la variabile impazzita che conferma i primi due nel ruolo di principali attori protagonisti.
I dati dell’Osservatorio di Pavia parlano chiaro, prendendo i dati pubblicati dal Termometro Politico stesso:
Se vi fossero i dati di giungo, luglio, agosto, gli squilibri sarebbero anche maggiori, per esempio è calata moltissimo l’attenzione verso il M5S.
Prendiamo il caso di Scelta Civica, che ha avuto l’8,3% alle elezioni, il nuovo partito più di successo dopo il 1994: dopo i mesi di anche eccessiva copertura su Monti, verso Scelta Civica è stato fatto calare un artificiale silenzio, ovvero una copertura del 1,13% a maggio, più di 10 volte inferiore a quella verso PD, PDL e M5S anche se ha avuto 1/3 dei voti, la metà della copertura di SEL che ha avuto meno della metà, meno della Lega che ha avuto la metà dei voti.
La sproporzione è evidente, la malafede è solo presunta ma fortemente probabile, essendoci interessi di conservazione che portano i giornalisti a essere legati con gli apparati dei partiti, quelli esistenti da lungo tempo, e a non voler spezzare gli equilibri presenti.
Non sarà però, si spera, il modo di fare e l’indole moderata, a fare arrendere i liberali italiani e a farli desistere dal fare sentire la propria voce.