“I soldi distruggono tutto, anche la dignità, ma non la passione”. Non esiste striscione migliore per rendersi conto del rapporto che vive tra San Benedetto del Tronto e la sua squadra di calcio. Se chiedete a qualunque italiano per cosa sia famosa la cittadina marchigiana, questo vi risponderà: “Per il porto e la Samb”.
San Benedetto infatti è il frutto del duro lavoro dei propri cittadini. Negli anni ’70 e ’80 il clamoroso boom economico ha permesso ad un paese di pescatori di espandersi e diventare uno dei cuori pulsanti dell’economia marchigiana e nazionale. Qui infatti risiede il secondo porto dell’Adriatico per quantità di pesca.
Chi ha potuto conoscere a fondo San Benedetto però non rimane tanto colpito da tale attività quanto dalla simbiosi tra il popolo sanbenedettese e la propria squadra di calcio.
Una comunione che nasce nel 1923 e ha resistito fino ad oggi. Il calcio a San Benedetto non è un passatempo né un hobby: tifare la Samb è un dogma, tramandato di generazione in generazione. A dispetto di una tifoseria caldissima e di una passione senza limiti non si può certo dire che la storia calcistica della Samb abbia regalato negli ultimi anni molte gioie ai sostenitori rossoblù.
La Sambenedettese calcio infatti ha stabilito il poco invidiato record di quattro fallimenti in quasi 20 anni. Una catastrofe sportiva che avrebbe estinto il calcio nella maggior parte delle città italiane, ma non a San Benedetto.
Il primo dolore societario risale al 1994: dopo anni di gioie e grandi risultati ottenuti attraverso la programmazione e l’oculatezza economica la crisi stravolge la Samb.
Il presidente Venturato non ha fondi per garantire l’iscrizione al campionato di Serie C e la fideiussione viene presentata all’ultimo grazie all’intervento del Sindaco e di altri imprenditori.
La stagione si concluderà con la salvezza sul campo ma con il fallimento societario: la Lega Calcio infatti, a causa della situazione disastrata del bilancio rossoblù, decide di non ammettere la Samb tra i professionisti relegandola in Eccellenza. Dal 1994 al 2000, dunque, la Sambenedettese vive uno dei momenti più bui: condannata al dilettantismo regionale, i rossoblù non riescono a guadagnare il fatidico ritorno nel calcio che conta.
La svolta avviene nel 2000 grazie a Luciano Gaucci: il presidente di Perugia e Catania acquista la squadra marchigiana e in due anni centra due incredibili promozioni portando la Samb dalla serie D alla C1. Gli spareggi per decretare la squadra campione della C2 sono l’occasione per mostrare a tutta Italia la passione rossoblù: durante Brescello-Samb, finale di ritorno dei playoff disputatasi al “Tardini” di Parma, 8000 sanbenedettesi invaderanno la città emiliana trascinando i giocatori alla promozione.
Nell’estate del 2004 Gaucci cede la Sambenedettese a Mastellarini, il quale dopo appena un anno e un playoff perso contro il Napoli al termine di una sfida emozionante, decide di vendere a sua volte le quote ad Alberto Sordini. Il 2005 è un anno tragico per la squadra del Tronto: Soldini cambia staff e giocatori ma i bilanci sono incredibilmente in rosso e gli stipendi tardano ad essere pagati. Senza allenatore e senza soldi, la Samb raggiungerà un’insperata salvezza grazie all’aiuto (anche economico) dei propri tifosi, sempre pronti a sostenere i colori rossoblù.
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Il fallimento però è dietro l’angolo: l’asta fallimentare è vinta nel 2006 dalla famiglia Tormenti e la Samb può iscriversi in C1. Incubo finito? Neanche per idea. Dopo due stagioni tra alti e bassi i Tormenti rompono ogni rapporto con squadra e tifosi.
Tornano ad aleggiare sulla riviera marchigiana gli spettri dei debiti e degli stipendi non saldati. I giocatori, allenati da Fulvio D’Adderio, tentano in tutti modi di raggiungere l’ennesima disastrata salvezza ma stavolta il miracolo non accade: dopo aver perso a Lecco i rossoblù ottengono la retrocessione e l’11 luglio 2008 arriva inesorabile il terzo fallimento.
La piazza sanbenedettese non vuole arrendersi, ma stavolta la risalita dal calcio dilettantistico deve avvenire solo con imprenditori locali. Spina, Bartolomei e Pignotti centrano la vittoria dell’Eccellenza al primo tentativo e pianificano la copertura totale dello stadio Riviera Delle Palme.
Dopo due anni di Serie D la Samb lotta per il professionismo ma nonostante una grande quantità di investimenti non riesce a raggiungere la promozione. Nel 2012 il popolo rossoblù può tornare a gioire: a Recanati una marea di sanbenedettesi assiste alla promozione in Seconda Divisione. La festa si scatena in tutta la città, ma i tifosi ancora una volta non hanno fatto i conti con i disastri societari.
Pignotti e Bartolomei infatti accumulano debiti su debiti e, nonostante le tante promesse circa l’iscrizione in Serie C, non assicurano in tempo la fideiussione.
Nonostante il ricorso effettuato il 19 luglio 2013 la Figc dichiara la Sambenedettese calcio esclusa da tutti i campionati professionistici. La voglia di chiudere tutto è tanta ma al cuore non si comanda e la nuova società viene affidata alla presidenza di Gianni Moneti. In altre città d’Italia l’ennesimo campionato di Eccellenza sarebbe stato accolto con stadi vuoti e zero passione, ma non a San Benedetto.
Il motivo? I soldi distruggono tutto, anche la dignità, ma non la passione.