Non abitano in via Olgettina nè sculettano in TV. Non rappresentano la “degenerazione della condizione femminile” in Italia nè suscitano manifestazioni di piazza delle femministe di “Adesso basta”. Non subiscono neanche il sopruso del maschio nelle mura domestiche o mobbing sul posto di lavoro, suscitando l’indignazione del sindacato. Perchè il loro posto di lavoro è la strada e l’abitazione è un tugurio condiviso con altre malcapitate con uomini che non sono mariti o fratelli ma schiavisti. Come è sempre stato dall’inizio dei tempi rappresentando la più rassicurante conferma per le esigenze più istintive degli uomini, qualche volta rinchiuse, per la maggior comodità del cliente, in case di piacere, piacere dell’uomo naturalmente, non il proprio. Sono le prostitute, puttane, donne di vita, lucciole, belle di notte, con tutti gli eufemismi che la goliardia o l’ipocrita perbenismo degli uomini e delle donne si sono inventati.
Lontane dagli occhi dei più e soprattutto dalle penne e dalle telecamere dei media nell’epoca di D’Addario e di Ruby, l’attenzione per la violazione della dignità femminile che la prostituzione ovunque e sempre rappresenta, è ulteriormente scemata. Suscitano più scandalo le libere donne che scelgono di andare tra le braccia di anziani, potenti, ricchi e famosi, per ottenere privilegi e soldi in misura maggiore rispetto alle coetanee ma che comunque non sono nè tratte in schiavitù nè farebbero la fame se scegliessero diversamente una vita anonima e modesta.
L’indifferenza con cui ogni telespettatore che tutto ha sentito e letto sugli incontri di villa Certosa, quando passa davanti alle nigeriane e rumene infreddolite al lato delle strade delle nostre province, spesso con il solo conforto di una sedia di plastica, che non hanno orario, e le puoi trovare anche in pieno giorno, è la stessa indifferenza millenaria di ogni uomo e donna che da sempre è abituata all’idea che l’atto più intimo personale, gratificante dell’essere umano possa essere comprato e costretto, perchè “così si è sempre fatto”. Il luogo comune che il mestiere più vecchio del mondo debba essere eterno ha lo stesso sapore di frustrante ineluttabilità che doveva avere nelle bocche degli sparuti attivisti contro la schiavitù e la pena di morte, che per millenni sono stati scontati ovunque.
Vi è una tacita complicità tra politici che non si occupano della faccenda, carabinieri e polizia che passano in pattuglia davanti a queste ragazze senza battere ciglio e l’indifferenza degli uomini comuni. Una mentalità in realtà inconsapevolmente disumana ma apparentemente pietista spinge molti a volere il ritorno delle case di tolleranza, per garantire il minimo di igiene alle ragazze, oltre che ai clienti, e per normalizzare la prostituzione. In realtà sarebbe una ufficalizzazione del disumano: il cliente entrando nel casino regolare si toglierà quell’imbarazzo e quel peso, forse quella riflessione sul proprio gesto che prova nell’incontro clandestino per strada, potrà portarci, come si faceva un tempo, anche il figlio, festeggiare un’occasione e così lasciare che a sussistere sia solo l’aspetto di godimento, di goliardico divertimento machista. L’indiffeenza per i sentimenti della donna saranno gli stessi che nella prostituzione per strada, naturalmente. Una società basata sulla prostituzione socialmente accettata, ovvero sull’accettazione esplicita, in massima parte dal lato maschile, che ci possa essere una totale separazione tra l’atto sessuale e il sentimento, e il legame umano profondissimo che in realtà un tale atto dovrebbe implicare, sarà una società che molto più di quella attuale discriminerà la donna, favorirà la dimostrazione di testosterone a quella di sentimento e coinvolgimento e analisi, discriminerà gli omosessuali.
In questa tragica noncuranza della faccenda sono complici e inconsapevoli alleati l’ideologia di sinistra di “liberazione sessuale” e di opposizione a qualsiasi intervento di tipo “bigotto” sulla sessualità, e il maschilismo becero italico ben rappresentato dagli anni del fascismo e dall’Italietta machista che possiamo incontrare ovunque nella vita quotidiana, in questo aiutata dal complice atteggiamento delle donne. Vi è alla base la negazione della convinzione, che invece è pilastro dell’idea di uomo che ha la Chiesa, che l’interiorità e il corpo della donna non potrà mai essere scisso dai sentimenti, e usare, o meglio, essere costretta a utilizzare il corpo per scopi che non riguardano e non coinvolgono il suo sentire interiore sarà una violazione della sua dignità. In fondo, in termini laici, è quello per cui si batteva la senatrice Merlin, che già difendeva la dignità delle mondine del Polesine, perchè non può essere l’istinto, o quello che viene spacciato come istinto, e nemmeno il bisogno, a costringere con l’ipocrisia a rendere schiave, di fatto, o sottilmente milioni di donne nel mondo.
Il sesso non può essere un lavoro, per cui ci si ritrova vincolati a svolgerlo, perchè è legato all’amore, e il verbo amare è uno di quei verbi che non contempla il modo imperativo.