Berlusconi affonda Letta e mette l’Italia nuda di fronte ai mercati
Si apre prevedibilmente male la settimana per i mercati finanziari, a causa della bomba lanciata da Silvio Berlusconi nel corso del weekend.
L’ex presidente del Consiglio ha chiesto ai suoi rappresentanti nel governo di presentare le dimissioni e quindi di uscire dalla maggioranza, mandando in crisi il governo di Enrico Letta.
Cadrebbe così l’ultimo baluardo della già scarsa fiducia nei confronti dell’Italia: per quanto il governo Letta si sia distinto solo per la sua capacità di rinviare, sperare e sopravvivere, senza riuscire a mettere in atto vere riforme economiche, la sua stabilità permetteva quantomeno di rassicurare i mercati del fatto che, nel caso in cui le cose fossero peggiorate, c’era comunque un governo pronto ad attivarsi. Ora anche un passo indietro di Berlusconi non riuscirebbe a ristorare la fiducia nell’Italia: Letta appare debole ai capricci altrui, pertanto inaffidabile.
La decisione di Berlusconi ha dimostrato che questa speranza era mal riposta e che anche il governo va piegato agli interessi personali del singolo individuo, che attende di conoscere il proprio destino nel mese di ottobre: mancano poche settimane alla decisione sulla decadenza da senatore del leader del centrodestra.
Entro il 15 ottobre intanto andrebbe presentata la legge di stabilità: un governo azzoppato, per quanto formalmente pronto a farlo, potrebbe non essere sufficientemente incisivo. Aumentano quindi le possibilità che le agenzie di rating decidano di peggiorare il proprio giudizio verso l’Italia.
La questione è fondamentale: l’Italia si trova vicinissima alla soglia “spazzatura”, superata la quale molti investitori saranno costretti dai propri regolamenti interni a vendere i titoli di Stato italiani, poiché non possono investire in titoli speculativi. Ciò farà cadere il valore dei titoli di Stato e comincerà a creare problemi prima alle banche, che ne hanno moltissimi in pancia (le le quali di conseguenza chiuderanno ulteriormente i rubinetti del credito) e poi allo Stato stesso sotto forma di maggiori rendimenti richiesti alle aste.
Questo senza considerare il clima di incertezza e le asprezze di una eventuale tornata elettorale anticipata – che rischia di stroncare la già debolissima ripresa italiana – e senza contare bazzecole come l’aumento dell’IVA a partire dal primo ottobre (che comunque sarebbe stato evitato solo grazie all’aumento di un altro tributo indiretto, le accise sulla benzina).
A conti fatti la decisione di Berlusconi di far saltare il tavolo risponderà alle esigenze personali, ma non certo a quelle dell’Italia che viene sostanzialmente utilizzata come scudo per fini privati. Ma a questo dovremmo essere abituati già da vent’anni.
L’agenda macroeconomica, a partire da martedì primo ottobre, prevede il rilascio di diversi indici PMI: la situazione del manifatturiero in diversi stati europei, tra cui l’Italia dovrebbe continuare a segnalare una timida crescita. Stesso discorso per la Cina e un maggiore ottimismo per gli Stati Uniti. L’Italia renderà noto il suo tasso di disoccupazione mensile che dovrebbe rimanere fermo al 12 per cento, ma non vanno escluse sorprese soprattutto in senso negativo.
Dato che il 3 ottobre sarà il giorno dell’Unità in Germania, la riunione della Banca centrale europea sulla politica monetaria è anticipata al 2 di ottobre. Il giorno successivo, invece, il dato più rilevante saranno le richieste di sussidi di disoccupazione, che comunque continuano a non essere totalmente affidabili a causa di aggiornamenti informatici in corso.
Venerdì 4 ottobre sarà infine reso noto il report sul mercato di lavoro statunitense che dovrebbe confermare il tasso di disoccupazione al 7,3 per cento, nonché altre misure relative all’occupazione che la Federal Reserve utilizzerà per la riunione di fine mese che potrebbe dare qualche indicazione a proposito del tapering.