Enrico Letta ha dichiarato: “Non è che il mio governo vuole aumentare l’Iva. […] L’aumento dell’Iva è già nel bilancio dello Stato ed è figlio di decisioni che sono iniziate nella prima metà del 2011, quando c’è stato un momento di crisi profonda e il governo Berlusconi allora fece una scelta per cercare di salvare la situazione: fece un’eliminazione delle esenzioni fiscali. […] Successivamente il governo Monti per evitare l’eliminazione di tutti questi assegni familiari spostò sull’Iva quest’aumento. Dopodiché si è arrivati fino a oggi, l’aumento è già deciso, c’è. Noi dobbiamo trovare le risorse per evitarlo o per spostarlo” (14.58).
Pagella Politica ha effettuato il fact-checking della dichiarazione e si è espressa con un “Vero”!
Botta e risposta sottinteso tra Enrico Letta e altri esponenti politici sull’introduzione dell’ennesimo aumento dell’Iva e sulla paternità del provvedimento: l’attuale Presidente del Consiglio si contende, infatti, l’amaro titolo con i due predecessori, Silvio Berlusconi e Mario Monti. A Pagella Politica, l’ardua sentenza.
Il primo aumento dell’Iva – quello dal 20% al 21% – è stata approvato con la “manovra di ferragosto”, ovvero d.l. n. 138 del 13 agosto 2011, convertito con modificazioni (ma non sull’Iva!) dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011. Presidente del Consiglio era ancora il Cavaliere, che si apprestava a muovere i suoi ultimi passi prima dell’arrivo del Professore.
Tra questi, spicca anche il decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011, con cui Silvio Berlusconi introduceva la cosiddetta “clausola di salvaguardia su delega fiscale”, la quale imponeva un taglio del 5% all’inizio, e del 20% nel 2014, delle agevolazioni e deduzioni Irpef e Iva, a scapito soprattutto delle persone con redditi più bassi, se il governo non avesse reperito 4 miliardi di euro entro il 2013, grazie al riordino delle agevolazioni fiscali.
Passa qualche mese dal’approvazione del decreto, il governo Berlusconi cade, e al suo posto subentra Mario Monti a cui tocca la patata bollente di racimolare 4 miliardi oppure eliminare le esenzioni fiscali. Scelta politicamente difficile, e il leader di Scelta Civica, opta, all’interno del Salva Italia – d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011 – per un aumento di ben due punti percentuali di entrambe le aliquote Iva, che sarebbero passate dal 10% e 21% rispettivamente al 12% e 23%. In accordo con il successivo d.l. n. 95 del 6 luglio 2012, l’aumento sarebbe entrato in vigore il primo luglio 2013.
Passano di nuovo i mesi e la finanza pubblica italiana migliora, tanto che il governo Monti con la legge di stabilità del 2013 (la n. 228 del 24 dicembre 2012), decide di attenuare l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto, congelando l’aliquota del 10% e aumentando quella del 21% di un solo punto percentuale – il famigerato 22%.
Tre mesi dopo, a marzo, Enrico Letta diventa Presidente del Consiglio e si ritrova ai primi di luglio nella situazione da lui correttamente delineata: l‘aumento dell’Iva già previsto nel bilancio dello Stato, come risultato di un insieme di decisioni prese dal precedente governo Monti, e verso le quali una parte di responsabilità può essere imputata a Silvio Berlusconi (o quantomeno, dobbiamo riconoscere che l’affermazione di Enrico Letta, circa l’eliminazione delle esenzioni fiscali da parte del governo Berlusconi in un momento di particolare crisi, è corretta).
Certamente rimangono aperte numerose domande: avrebbe potuto agire diversamente il bocconiano Mario Monti? Potrebbe agire diversamente l’attuale premier, trovando risorse alternative? Quanta responsabilità possiamo attribuire effettivamente alle scelte di Silvio Berlusconi? Senza entrare nel merito della qualità delle decisioni del nostro trio presidenziale, Pagella Politica valuta i fatti riportati da Enrico Letta e lo promuove vincitore della disputa. “Vero” per lui.