Un governo di minoranza formato da Destra e Partito del Progresso. Appoggio esterno di liberali e cristiano popolari. È questo l’esito dei colloqui per la formazione del nuovo governo in Norvegia. Quasi due settimane di negoziati hanno portato alla fine all’esito previsto, con i due piccoli partiti di centro che scelgono di non entrare nell’esecutivo ma si impegnano ad appoggiarne le politiche, ottenendo in cambio un accordo dettagliato.
Per Erna Solberg, leader della Destra e futuro primo ministro, si apre ora la seconda fase: chiarire ogni dettaglio con il Partito del Progresso e formare una squadra di governo. E chissà che per lei il difficile non arrivi adesso.
I colloqui per la formazione del governo sono stati duri, a tratti aspri, più di quanto la stessa Solberg s’era forse aspettata. Ma sull’esito non c’è da essere sorpresi. Già sul finire della scorsa settimana era chiaro dove si stava andando a parare. La formalizzazione è arrivata nella serata di ieri.
“Quando abbiamo incominciato i negoziati” ha affermato Knut Arild Hareide, leader del Partito Popolare Cristiano, “abbiamo detto che pensavamo sarebbe stato improbabile formare un governo a quattro perché la distanza politica era troppo grande. Ma ci siamo avvicinati molto durante questi giorni”. Le distanze erano note già a bocce ferme: su tutte, quella col Partito del Progresso, la più a destra delle forze politiche nel paese.
Ma Hareide nega che l’esito negativo dei colloqui debba essere attribuito al partito guidato da Siv Jensen: “Questa decisione non ha a che fare col Partito del Progresso. È una valutazione complessiva sull’opportunità di un governo a quattro”.
Liberali e cristiano popolari appoggeranno il governo dall’esterno e lasciano il tavolo dei negoziati non certo a mani vuote: hanno infatti ottenuto la formalizzazione di una piattaforma politica che assicurerà loro un ruolo non marginale nelle scelte che il governo dovrà fare.
Nero su bianco sono stati messi tanti paletti: lo stop all’ipotesi di esplorazioni petrolifere negli arcipelaghi Lofoten e Vesterålen, ad esempio, ma anche denaro per le infrastrutture e più fondi alla polizia. “Si tratta di un accordo estremamente vincolante: Partito Popolare Cristiano e Partito Liberale avranno influenza sulle scelte del governo anche senza farne parte. È un giorno storico per la politica norvegese” ha dichiarato Solberg, con un pizzico di entusiasmo di troppo.
Trine Skei Grande, a capo del Partito Liberale, ha affermato d’essere contenta dell’esito dei colloqui: ora, ha aggiunto, il Parlamento avrà un ruolo ancor più importante. Arild Hareide ha detto di essere altrettanto soddisfatto: “In queste ultime due settimane abbiamo ottenuto più di quanto ottenuto negli scorsi otto anni”.
Hareide non esclude in futuro un ingresso nel governo (“Se penseremo di avere più impatto politico facendo parte dell’esecutivo, allora entreremo” ha ammesso) ma è francamente difficile credere che questo possa accadere, quantomeno non a breve. Per il Partito Liberale e per il Partito Popolare Cristiano l’appoggio esterno era e resta la soluzione politica più conveniente.
Si chiude dunque il primo capitolo e se ne apre un altro. Destra e Partito del Progresso a questo punto dovranno mettere a punto una piattaforma di governo condivisa e dovranno spartirsi i ministeri. E per Solberg gli ostacoli maggiori potrebbero essere tutti ancora da scavalcare.
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Fino a oggi il Partito del Progresso non ha mai puntato i piedi: ha dimostrato collaborazione e propensione al dialogo.
Una delle frasi più utilizzate da Siv Jensen nel corso di questi giorni è stata “bisogna dare per ottenere”, una sorta di inno al compromesso che non tutti s’aspettavano. Ma la domanda è: resterà questa la linea del partito anche nelle prossime ore? Se così non fosse, per Solberg potrebbe essere complicato trovare un’intesa su argomenti delicatissimi come la politica economica.
Quel che è certo è che Erna Solberg ha fallito il suo primo obiettivo. Non ci sarà un governo formato da quattro partiti, non ci sarà quel governo che lei si era augurata di guidare. E questo, sottolinea il quotidiano Aftenposten, potrebbe avere ripercussioni anche sulla vita politica della Norvegia negli anni a venire. Un esecutivo larghissimo com’era nei piani di Solberg le avrebbe quasi certamente garantito una rielezione nel 2017, aveva scritto più di qualche commentatore. Ora, tutto questo non è più scontato.
Ma anche la navigazione nel presente sarà più burrascosa. Frank Aarebrot, esperto di politica norvegese, ha sottolineato che per Solberg s’è concretizzata la peggiore delle soluzioni possibili: un governo di minoranza in coabitazione col Partito del Progresso, il quale può essere indicato come il vincitore di questa prima parte.
Siv Jensen non voleva far parte di un esecutivo insieme al Partito Liberale e al Partito Cristiano Popolare e così è stato: con i due alleati minori in seconda fila – determinanti nei numeri ma pur sempre un passo indietro – il Partito del Progresso potrà far valere le proprie idee con più forza. Se l’azione di governo dovesse diventare un braccio di ferro continuo, alla lunga a uscirne logorata sarebbe proprio Erna Solberg.