Papa Francesco colpisce ancora. Nel senso che coglie l’obiettivo di arrivare diretto alla gente e allo stesso tempo stupisce profondamente, per il modo in cui lo fa. Ancora una volta attraverso Repubblica. Dopo la risposta agli articoli di Eugenio Scalfari (e a Piergiorgio Odifreddi), infatti, è lo stesso fondatore del quotidiano a intervistare il Pontefice, invitato personalmente da lui con una telefonata.
Un’intervista (e, prima ancora, un incontro) di portata quasi storica, per la storia personale di Scalfari e per l’atteggiamento del tutto innovativo di Jorge Bergoglio. Un lungo colloquio, avvenuto in una stanza della domus di Santa Marta, che condensa molte riflessioni lontane dalla banalità.
Si parte subito da una riflessione sulla “conversione“, troppo spesso snaturata nell’uso quotidiano della parola: “Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso – ha detto il Papa -. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l’importante è che portino verso il Bene». Bene di cui ciascuno ha una visione, come del Male, quindi ciascuno dovrebbe “procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”.
Nemmeno l’amore per gli altri predicato da Gesù sarebbe proselitismo, ma “lievito che serve al bene comune“, cosa che la Chiesa fa ad esempio con le missioni. “L’agape, l’amore di ciascuno di noi verso tutti gli altri, dai più vicini fino ai più lontani, è il solo modo che Gesù ci ha indicato per trovare la via della salvezza e delle Beatitudini” ha sottolineato il Pontefice. Che invita però a distinguere l’amore (giusto) per se stessi dal narcisismo: “Indica un amore smodato verso se stessi e questo può produrre danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto ma anche nel rapporto con gli altri, con la società in cui vive”.
Un disturbo mentale, secondo il papa, che purtroppo però colpisce soprattutto persone che hanno molto potere. Anche tra gli ecclesiastici: “I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani – spiega su sollecitazione di Scalfari -. La corte è la lebbra del papato“. Il riferimento, spiega, non è alla Curia nel suo complesso, ma ha il difetto di essere “Vaticano-centrica”, trascurando il mondo circostante. “Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio“.
Il dialogo è davvero amplissimo: Bergoglio parla con Scalfari della sua vocazione, del comunismo conosciuto attraverso un’insegnante (“Il suo materialismo non ebbe alcuna presa su di me. Ma ho capito alcune cose, un aspetto del sociale, che poi ritrovai nella dottrina sociale della Chiesa”), della teologia della liberazione (“Certamente molti esponenti davano un seguito politico alla loro teologia, ma molti di loro erano credenti e con un alto concetto di umanità“).
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Quasi si confessa, Francesco, nel dire che adora i mistici ma ritiene (in sintonia con Scalfari) di non esserlo.
“Il mistico riesce a spogliarsi del fare, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini. Mi è capitato raramente, per esempio quando il Conclave mi elesse Papa” spiega Bergoglio, raccontando i minuti che precedettero l’Habemus Papam.
La conversazione vira spesso su temi teologici, compreso uno scambio di battute parlando di sant’Agostino: “La grazia è la quantità di luce che abbiamo nell’anima, non di sapienza né di ragione. Anche lei, a sua totale insaputa, potrebbe essere toccato dalla grazia. La grazia riguarda l’anima. Non ci crede ma ce l’ha“, ha assicurato al suo incredulo interlocutore.
Anche la scelta del nome, Francesco, del tutto inedito per un papa, viene analizzata con cura: “Francesco voleva missionari in cerca di incontrare, ascoltare, dialogare, aiutare, diffondere fede e amore. E vagheggiava una Chiesa povera che si prendesse cura degli altri, ricevesse aiuto materiale e lo utilizzasse per sostenere gli altri, con nessuna preoccupazione di se stessa. Sono passati 800 anni da allora e i tempi sono molto cambiati, ma l’ideale d’una Chiesa missionaria e povera rimane più che valido“.
In questo, il passo ai problemi concreti è breve: “L’egoismo è aumentato e l’amore verso gli altri diminuito“. In questa diagnosi lapidaria c’è tutto il dramma dell’oggi, compresi quelli che per Francesco sono i mali più gravi: la disoccupazione dei giovani e la solitudine degli anziani. “I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e non li cercano più. Sono schiacciati sul presente. Si può vivere senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro?” E’ un problema di Stati, partiti e sindacati, “ma riguarda anche e soprattutto la Chiesa, questa situazione ferisce i corpi e le anime. La Chiesa deve sentirsi responsabile di entrambe, è consapevole di questo problema, ma non abbastanza” .
“Includere gli esclusi e predicare la pace”: è il programma di Bergoglio, che lui stesso condensa il poche parole; ammette che sulla strada del dialogo coi non credenti dopo il concilio Vaticano II si è fatto molto poco, ma precisa “Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”. Ciò unitamente a una riforma della Chiesa dall’interno, che le dia un’organizzazione “non soltanto verticistica ma anche orizzontale”, citando il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita come lui: “Sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma fermezza e tenacia”.
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Si finisce a parlare di laicità, credenti e anticlericali, con Francesco pronto a sorprendere.
“Quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a che vedere con il cristianesimo. San Paolo che fu il primo a parlare ai pagani, ai credenti in altre religioni, fu il primo ad insegnarcelo”.
Eppoi un passaggio fondamentale sul rapporto con la politica: “La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui“. Ma non è stata sempre così la Chiesa, nota Scalfari: “Non è quasi mai stata così – ammette Bergoglio -. Molto spesso la Chiesa come istituzione è stata dominata dal temporalismo e molti membri ed alti esponenti cattolici hanno ancora questo modo di sentire”.
C’è il tempo per indagare meglio il “credo” di Francesco (“Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore”) e per richiamare la necessità che gli uomini di buona volontà operino per aumentare l’amore verso gli altri: “Penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento ed anche, se necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le disuguaglianze più intollerabili”.
Il dialogo-intervista si chiude qui, ma è lo stesso papa Francesco a indicare un potenziale sequel, una nuova puntata sempre con Scalfari: «Parleremo anche del ruolo delle donne nella Chiesa. Le ricordo che la Chiesa è femminile». Una puntata, probabilmente, da non perdere.