Statine: rimedio o frode?

Pubblicato il 3 Ottobre 2013 alle 15:21 Autore: Marco Caffarello

Le Statine negli ultimi decenni hanno visto il loro impiego aumentare esponenzialmente

Essendo il farmaco in grado di inibire la sintesi del colesterolo si dimostra efficace a contrastare patologie di natura cardiovascolare, eppure non  poche e lievi sono le controindicazioni per la salute derivanti dal consumo, e c’è chi sostiene come alla base del loro ingresso nel mercato si celi un inganno.colesterolo1

 

Ogni persona che nella vita ha avuto problemi di cuore sa cosa si intenda con il termine di Statine: una particolare classe di farmaci efficace a inibire la sintesi del colesterolo, molecola, simile ai grassi, appartenente alla classe degli steroli, che vive naturalmente nella membrana di ogni cellula organica animale, uomo compreso. Data dunque l’ efficacia delle Statine a contrastare l’eccessiva produzione cellulare di colesterolo, che com’è noto, essendo trasportato nel corpo attraverso le vie del sistema cardiovascolare, vene ed arterie, è troppo spesso prima causa della loro ostruzione, sono state negli ultimi decenni prescritte con tale quantità da farne il primo farmaco più venduto in tutti i tempi, un primato che per “gli scettici” cela qualcosa di sospetto.

Si può dire, infatti, come l’opinione pubblica, e parte del mondo della ricerca scientifica, abbia iniziato a guardare con sospetto questa particolare classe farmaceutica a partire dalla denuncia nel febbraio del 2012 della Food and Drug Administration (FDA), ente governativo americano preposto alla regolamentazione e al controllo di alimenti e farmaci da immettere nel mercato, che avvertì i consumatori circa i rischi e le controindicazioni che un eccessivo uso di Statine può provocare per la salute dei pazienti.

Due infatti sono le categorie di pazienti a cui il farmaco viene normalmente somministrato: la prima con malattie cardiovascolari per la quale il consumo di Statine dimostra di apportare alcuni benefici, ed una seconda, invece, con un’elevata concentrazione ematica di colesterolo per la quale la prescrizione medica ha solo un valore preventivo. In questo ultimo caso il farmaco sembra non conoscere infatti alcuna efficacia, anzi si sospettano, e si sostengono, controindicazioni e rischi per la salute molto più gravi e concreti di ciò che si vuole contrastare.

Un recente studio di Sherif Sultan e Niamh Hynes, ricercatori per la University College Hospital Galway , in Irlanda, specializzati in chirurgia endovascolare, dall’emblematico titolo” Il lato oscuro delle statine. Valutazione sistemica dell’ignoto contemporaneo”, pubblicato per il Journal of Endocrine and Metabolic Diseases, mette in guardia dalle pericolose controindicazioni che il consumo di Statine comporta per coloro il cui uso ha solo un valore di prevenzione. Il documento redatto dai due colleghi ha infatti il sapore di un vero e proprio atto di accusa che non risparmia né il farmaco in quanto tale, né tanto meno la base scientifica su cui poggia, e sembra rivelare anche un’occulta regia che c’è dietro. Infatti sebbene il loro studio non manca di riportare alcune positività delle Statine, sottolineano come i benefici siano limitati in realtà alla sola classe di pazienti affetta da patologie cardiovascolari, e neppure l’incidenza del farmaco sarebbe, a loro dire, così rilevante. Certamente maggiori sono i rischi, tant’è che recenti ricerche sostengono persino come il consumo di Statine sia alla base di patologie riguardanti deficit cognitivi.

Sottoponendo a controlli 10mila pazienti che regolarmente prendono il farmaco, Sherif Sultan e Niamh Hynes hanno registrato infatti una serie di controindicazioni che coinvolgono più aspetti della regolarità metabolica: in 307 pazienti sono stati riscontrati problemi della cataratta, il 30% di questi ha conosciuto significative riduzioni della forza muscolare, 74 persone hanno riscontrato disfunzioni epatiche, in 40 hanno sviluppato cicatrici polmonari interstiziali irreversibili, in altri pazienti maschi sono state registrate disfunzioni erettili, e, sopratutto nelle donne, è correlata una particolare forma diabetica, il diabete tipo 2, ciò perchè le Statine accrescono anche la resistenza all’insulina.

Tutto ciò deve essere correlato a ciò che spiega  Sheriff Sultan “L’uso di statine è associato ad un aumento della prevalenza e della portata della calcificazione delle placche coronariche. Ironicamente, per un farmaco che è stato commercializzato per abbassare il rischio di malattie cardiovascolari, il Confirm Registry [studio del 2012] ha identificato una forte associazione delle statine nella progressione delle caratteristiche della placca coronarica.”

Dunque la ricerca dimostra chiaramente come il farmaco, anziché curare le patologie per le quali è stato fabbricato, apporta ancor più danni, fornendone la causa: “L’uso di statine è stato correlato con una maggiore incidenza di stenosi grave delle arterie coronarie e con l’aumento del numero di vasi coronarici che hanno sviluppato coronaropatia ostruttiva. Inoltre, l’uso di statine è stato collegato ad un aumento della prevalenza e della portata della placca mista calcifica. Cinque studi prospettici hanno reso testimonianza del fatto che la terapia con statine non induce alcuna regressione del calcio coronarico e che l’evoluzione del calcio coronarico continua indipendentemente dal trattamento con statine”

Detto più semplicemente le parole di Sheriff Sultan stanno ad indicare che il farmaco, anziché allargare le vie coronarie, le restringe, con l’inevitabile conseguenza di un accrescimento dei disturbi cardiovascolari, e correlatamente a questi, di altre funzioni dell’organismo.

Le parole di biasimo di Sultan e di Hynes, tuttavia, non sono le sole nel panorama scientifico: anche Beatrice Golomb, ricercatrice per la University of California San Diego, conferma di aver raccolto negli ultimi tempi più di 3000 segnalazioni di controindicazioni seguite al consumo delle Statine, quali disturbi della memoria breve, dolori muscolari, apatia, e ammonisce, inoltre, come troppo spesso i medici siano inclini a sottovalutarne la pericolosità, classificando i sintomi come innocui “segni del tempo”.

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