Editoria: guerra alle rassegna stampa
Sono, ormai, anni che gli editori lamentano la cannibalizzazione dei propri contenuti “a scrocco” da parte delle aziende che producono e realizzano le rassegne stampa per gli enti pubblici e privati.
Si tratta di uno scontro che, in passato, ha raggiunto, a tratti, toni straordinariamente accesi ed ha prodotto conseguenze gravi come, ad esempio, la chiusura al pubblico delle rassegne stampa pubblicate dal Senato della Repubblica come da decine di altre istituzioni italiane.
Un contesto dinanzi al quale i Governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno – quando più timidamente quando in maniera più decisa – manifestato l’intenzione di intervenire, rendendosi, almeno, arbitri del confronto tra le imprese editoriali e quelle che riutilizzano i contenuti da queste ultime prodotti per realizzare rassegne stampa o fornire analoghi servizi.
Tanto rumore, dozzine di tavoli tecnici e politici e riunioni ma poi, sostanzialmente, nulla di fatto.
Ora però sembra si sia arrivati davvero agli ultimi concitati momenti prima che tra i contrapposti schieramenti si scateni un’autentica battaglia giudiziaria.
In piena estate, infatti, Umberto Frugiuele, Presidente di Assorassegne stampa, la principale associazione di categoria degli imprenditori operanti nel settore, ha preso carta e penna e scritto a tutte le principali associazioni rappresentanti degli editori, a Giovanni Legnini, Sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, ai Presidenti di Camera e Senato nonché all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni per rappresentare la disponibilità immediata degli imprenditori del settore a versare agli editori una percentuale del proprio fatturato.
Un’elegante proposta di armistizio dopo un lungo confronto serrato, intervallato da lunghi periodi di “guerra fredda”.
Una proposta che, tuttavia, non è stata ritenuta sufficientemente seria dagli editori di giornali che, infatti, il 14 settembre scorso hanno risposto con un autentico ultimatum: o firmare un contratto di licenza con la Promopress s.r.l. – l’agenzia alla quale la FIEG ha affidato, in esclusiva, la gestione dei propri diritti d’autore – o rivedersi in Tribunale.
La FIEG, così facendo, sembra aver “gettato la maschera” e mostrare il reale obiettivo perseguito dagli editori italiani: non già vedersi riconoscere un “equo compenso” a fronte del riutilizzo dei propri contenuti ma affermare un principio difficile da condividere, sia giuridicamente che politicamente, in nome del quale nessun riutilizzo di un contenuto informativo – neppure per uno scopo anch’esso informativo – sarebbe lecito in assenza di un “permesso” dell’editore e del pagamento di un autentico corrispettivo.
E’ un principio non condivisibile che minaccia di dar vita a oligopoli informativi che comprimerebbero oltre il lecito la libertà di informazione nella sua duplice accezione di libertà di informare e di essere informati.
Si tratta di uno scenario, peraltro, del quale, nei mesi scorsi, si sono già registrate drammatiche anticipazioni con amministrazioni italiane private costrette a rifornirsi di rassegne stampa dall’unica società che deteneva i diritti su un determinato giornale.
L’informazione finirebbe con l’essere trattata come una “merce” al pari di ogni altra e l’accesso ai contenuti informativi si ritroverebbe ridotto ad una questione solo di soldi e mercato con buona pace dello straordinario valore democratico che la circolazione dell’informazione riveste per il Paese.
La questione è troppo serie ed importante perché il Governo si volti dall’altra parte.
E’ urgente che il Dipartimento dell’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri intervenga, si faccia facilitatore di un accordo e prenda, se necessario, una posizione dura a proposito dell’idea che il riuso di un contenuto per finalità informative possa essere soggetto a qualsivoglia genere di “permesso” concesso o meno sulla base di una scelta autonoma e discrezionale del titolare dell’informazione alle condizioni economiche da esso stesso unilateralmente imposte.
Una volta che un’informazione è pubblicata chiunque deve poterla liberamente utilizzare per produrre altra informazione, salvo, naturalmente, il sacrosanto diritto dell’editore a vedersi riconoscere un indennizzo a fronte dell’utilizzo commerciale – ancorché a scopo informativo – che altri ne facciano.