Il Consiglio dei Ministri ha proclamato la giornata di oggi lutto nazionale. Un atto più che dovuto, direi. Un bilancio provvisorio di oltre 100 morti nel mare di Lampedusa impone a tutti un momento di pausa, di riflessione. Un cordoglio collettivo.
Ma affinché il lutto non rimanga soltanto un momento di dolore silenzioso, intimo e rassegnato occorrerà, da domani, ragionare approfonditamente sulle politiche italiane ed europee in tema di immigrazione. È evidente, come ha ripetuto ieri sera il governatore siciliano Crocetta, che il piano europeo sull’immigrazione ha fallito. I flussi di immigrati clandestini continuano incessantemente, causando tragedie sconvolgenti e insieme alimentando una reazione emotiva, a tratti irrazionale e xenofoba, nelle popolazioni europee. Il contrasto all’immigrazione irregolare si rivela inefficace di fronte alla massa di disperati che fuggono da territori attraversati da conflitti feroci e da autentici genocidi. L’approccio delle autorità europee risulta inconcludente, teso com’è tra lo spirito umanitario e l’imprescindibile esigenza di accogliere i profughi e i richiedenti asilo, da un lato, e l’oggettiva impossibilità di offrire un lavoro a milioni e milioni di immigrati in un periodo di crisi come questo, dall’altro.
Occorrerà quindi avviare una riflessione seria, profonda e oggettiva sul tema. Va riconsiderato il nostro approccio al diverso, allo straniero, il nostro desiderio di accettare l’avvento ineludibile del multiculturalismo. Vanno fatti i conti con esigenze economiche, sociali, demografiche in costante divenire. Vanno rimessi in discussione gli armamentari culturali tanto della xenofobia populista quanto dello sterile terzomondismo di sinistra. Vanno rivisti i nostri strumenti normativi di intervento, a partire dalla famigerata Bossi-Fini.
Ma prima di tutto, occorrerà chiedere all’Europa se intende occuparsi seriamente del problema. Se i paesi europei riusciranno a unirsi, un giorno, in una “comunità di destino” dipende anche da questioni come queste. A chi tocca occuparsi del problema dell’immigrazione? Sono i paesi frontalieri, affacciati sul Mediterraneo, a dover provvedere autonomamente a gestire gli accessi e a contrastare gli sbarchi irregolari? O forse è l’Europa tutta, che con Schengen ha abolito le sue frontiere intere, a dover programmare e mettere in atto delle soluzioni comuni ad un problema comune? È ancora sostenibile, di fronte a tragedie di questa portata, la posizione di chi, a Nord delle Alpi, pretende di considerare l’autentico esodo in corso nel Mediterraneo “un problema tutto italiano”?
Andrea Scavo