“La democrazia è il nome che diamo al popolo ogni volta che abbiamo bisogno di lui”, potrebbe essere forse questa famosa frase quella giusta da controbattere alle strillate democratiche che da più parti e sempre più frequentemente sentiamo, ora anche dal PDL. Peccato che questo benedetto popolo continui ad essere visto non come il vero protagonista della democrazia, ma come un “accessorio” indispensabile sempre e solo nel momento elettorale.
I tempi però stanno drammaticamente cambiando. Spero che la politica finalmente arrivi a capirlo. Nella Seconda Repubblica che sembra stare per concludersi, il centrosinistra ha sempre passivamente subito l’offensiva populista della leadership del centrodestra, salvo quando ha mostrato nelle televisioni delle famiglie italiane le immagini delle code dei votanti ai seggi delle primarie.Nei quartieri borghesi e in quelli delle periferie metropolitane, nelle grandi città e nei piccoli comuni montani, in un miscuglio vincente di avvocati e insegnanti, imprenditori e pensionati, donne e uomini, italiani ed extracomunitari: quelle file ai seggi hanno avuto, nella stragrande maggioranza dei casi, un effetto entusiasmante sull’impegno di dirigenti politici, militanti ed elettori .
Le primarie non le abbiano inventate noi, e quindi non dobbiamo chiederci noi se servono o meno. Negli Stati Uniti, nella nazione che ha stabilito i canoni della democrazia liberale, le primarie sono il metodo democratico per selezionare la classe dirigente. Selezionata dai cittadini e non dagli apparati. Quest’ultimo fu teorizzato a livello di struttura partitica e usato estensivamente nel PCUS di Lenin. In questo modello gli apparati di partito decidono, per cooptazione , chi deve accedere ai gruppi dirigenziali di un partito secondo un modello di continuità e salvaguardia degli apparati stessi. Nel centrodestra la struttura gerarchica di cooptazione somiglia in verita’ piu’ ad una struttura di stampo feudale con il rex (legibus soluto), i suoi vassalli e giu’ a scendere i valvassori e i valvassini.
Una delle questioni centrali in Italia è il deficit di democrazia e partecipazione che genera l’antipolitica. I partiti, in una democrazia piena, hanno un ruolo positivo solo se essi stessi sono il luogo dove chiunque dalla società possa accedere alla politica. In un momento storico in cui la politica tutta è delegittimata, un partito che fa selezionare la sua classe dirigente dai cittadini acquisisce quella autorevolezza di cui ha bisogno per non apparire come un coacervo di interessi di casta e di carriere che portano privilegi mentre il resto della società affonda sotto i colpi della crisi.
Il consenso e la rappresentanza, che dovrebbero essere la linfa e lo scopo di un partito, la si conquista e la si espande maggiormente se si ha una classe dirigente che è stata selezionata dagli elettori stessi. Ovviamente non devono essere l’unico valore aggiunto privo di contenuti , anche perché molti di coloro che scimmiottano questo metodo lo fanno solo per carriera personale e poi quando assurgono a cariche dove dovrebbero dimostrare nuove idee, insomma un nuovo modo di pensare e fare politica , praticano le vecchie tecniche solo per tornaconto personale. Una politica sempre più autoreferenziale , sempre più chiusa ha bisogno di una cinghia di collegamento con la tanto bistrattata società civile, questa energia positiva si scontra con l’attuale stallo delle strutture di partito , troppo trincerate a difendere posizioni consolidate ed intimorite dalla circolazione di nuove idee , di forze nuove , dalla contaminazione e con storie e provenienze diverse.
Se si criticano gli adulti parlando spesso dei giovani come speranza per il futuro non possono non stridere con quanto deciso dai Giovani Democratici, ed in particolare del segretario Raciti, che sembrano andare in una direzione diametralmente opposta, soprattutto dopo la straordinaria partecipazione di giovani alle Primarie che nel 2008 lo elessero Segretario. Ci si augura sempre che le rivoluzioni dal basso ed i miglioramenti vengano sempre dalla positiva spinta data dall’impegno e dall’entusiasmo dei giovani, speriamo che in questa circostanza non si debba parlare in futuro di una occasione persa.
Di Giuseppe Ciraolo