Il Presidente del Messico vuole un referendum per far processare i suoi predecessori
Il Presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha intenzione di chiedere ai suoi cittadini se ritengano giusto indagare cinque suoi predecessori: Carlos Salinas de Gortari, Ernesto Zedillo, Vicente Fox, Felipe Calderon ed Enrique Peña Nieto. Tutti i nomi coinvolti sono membri del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) o del Partito di Azione Nazionale (PAN), entrambi di ispirazione conservatrice. I cinque hanno governato, uno in successione all’altro, dal 1988 al 2018.
La vicenda
Le accuse che stanno scuotendo la politica messicana partono da Emilio Lozoya Austin, ex membro del comitato elettorale del PRI e fino al 2016 amministratore delegato della società petrolifera di stato Pemex. Lozoya è stato arrestato in Spagna per corruzione nel febbraio di quest’anno e, dopo l’estradizione in Messico, ha iniziato a collaborare con la giustizia. Nel corso degli interrogatori l’uomo ha rivelato che l’ex presidente centrista Peña Nieto avrebbe ricevuto finanziamenti pari a 4 milioni di dollari da parte della multinazionale edilizia brasiliana Odebrecht, azienda coinvolta a sua volta in scandali che hanno fatto cadere in precedenza i governi di Perù e Brasile. Altre accuse riguardano una presunta tangente di 4.3 milioni di dollari concessa dallo stesso Nieto al PAN perché votasse a favore della liberalizzazione del mercato petrolifero.
Questa vicenda suona come una conferma per AMLO (così è soprannominato l’attuale Presidente) che ha costruito la sua carriera politica sulla lotta alla corruzione e al neoliberismo. Una condanna sarebbe una vittoria importantissima per López Obrador, che non a caso ha subito proposto un referendum in cui chiedere ai cittadini se indagare o meno i suoi predecessori. Il testo completo del quesito sarebbe: “È d’accordo o no sul fatto che le autorità competenti aprano un’indagine e nel caso puniscano i crimini commessi dagli ex presidenti Carlos Salinas de Gortari, Ernesto Zedillo, Vicente Fox, Felipe Calderon ed Enrique Peña Nieto, prima durante e dopo il loro mandato?”.
In Messico il Presidente può proporre un referendum (previa autorizzazione, in alcuni casi, di Parlamento e Corte Costituzionale) ma per molti osservatori mancano i presupposti legali perché l’esito di questa consultazione sia in qualche modo vincolante per le autorità giudiziarie. Ciò nonostante l’idea sembra aver fatto presa sull’elettorato, e una petizione in favore del referendum ha già raggiunto 2.8 milioni di firme. Di diverso parere le opposizioni, che accusano López Obrador di fare uso politico della magistratura e di voler usare la consultazione per distrarre l’opinione pubblica dai problemi del paese, in primis l’aumento dei contagi da covid-19.
Il contesto
Il Messico è stato governato dal 1929 fino al 2000 dal Partito Rivoluzionario Istituzionale, forza prima di carattere socialista e via via spostatasi a destra che ha guidato il paese a lungo in regime di sostanziale monopartitismo. Solo nel nuovo millennio il testimone è passato alla formazione di destra conservatrice PAN (Partito di Azione Nazionale), la prima a sostituirsi al PRI alla guida del Messico.
La svolta a sinistra, però, è arrivata nel 2018, quando la coalizione Morena guidata da Lòpez Obrador ha vinto le elezioni presidenziali. La campagna elettorale di AMLO, comunemente definito come un populista di sinistra, ha puntato tutto sulla lotta alle èlites e al neoliberismo imperante, promettendo di combattere la corruzione e costruire uno stato sociale sul modello di altri paesi dell’America Latina. La sua vittoria è arrivata in controtendenza rispetto agli umori elettorali del resto del Continente, che dopo un ciclo di successi della sinistra radicale nei primi anni 2000 è tornato a destra in molti paesi chiave – Brasile in testa.
La sua azione di governo è stata, fin’ora, solo in parte aderente alle promesse elettorali. Primi interventi di potenziamento del welfare state sono stati portati avanti, così come è stata potenziata l’industria petrolifera nazionale, ma al contempo il governo di Città del Messico sembra intenzionato ad usare il pugno duro contro le carovane di migranti in arrivo dall’Honduras.
La linea di AMLO di fronte alla pandemia è stata ondivaga. Dopo aver inizialmente sottovalutato il problema – tanto da farsi immortalare al ristorante per invitare i concittadini ad uscire di casa – il diffondersi del virus ha costretto il Paese a ricorrere a misure simili a quelle adottate dai vicini.