E’ questione di (fanta)politica – Cosa sarebbe successo se…avesse vinto Dukakis?

Pubblicato il 28 Ottobre 2011 alle 12:50 Autore: Livio Ricciardelli
(fanta)politica

 

[ad]Da un libro di storia edito nel 2011: la presidenza Dukakis fu caratterizzata da due fasi: una prima di forte audacia da parte del presidente eletto e del suo staff che subito incominciarono a lavorare, già nei momenti di attesa per il giuramento, cercando di far comprendere subito che l’aria in America era cambiata. Uno dei primi provvedimenti del presidente Dukakis, fu proprio quello di smettere di “gonfiare” il bilancio americano troppo deregolarizzato e anzi il presidente stesso si fece promotore di una maggiore vigilanza della Sec (la consob americana) non solo dei mercati finanziari ma di tutta l’industria. Il ministro dell’economia Al Gore, che aveva sfidato il presidente alle primarie dell’88, considerava assurdo competere e “sfiancare” il gigante sovietico con questa logica economica della reaganomics. Di conseguenza anche in politica estera si crearono veri momenti di distensione tra l’Urss e gli Stati Uniti. Grazie ad un superattivismo del segretario di stato Joe Biden e del ministro degli esteri sovietico Shevarnadze, Dukakis e Gorbaciov si incontrarono spesso lavorando, come disse Dukakis, sulla falsariga del “Salt II” di carteriana memoria. Nonostante tutto non tutti i propositi del presidente andarono a buon fine, anzi: la seconda fase, iniziata secondo alcuni storici verso la fine del 1989, fu un vero disastro. Gore si trovò con una grave crisi causata da una serie di scioperi di massa di operai che, questo aveva innestato la campagna mediatica dei repubblicani, aspiravano ad un principio del “lavorare di più per guadagnare di più”. Erano scioperi autonomi ma organizzati, e si scagliavano contro il sindacato stesso che secondo i leader della rivolta rappresentava “una corporazione di comunisti antiliberale interessata solo alla propria carriera politica”. Molti furono gli scontri tra polizia e manifestanti, fino a quando il 20 febbraio del 1990, secondo alcuni a causa di alcuni reparti deviati della polizia, alcuni agenti spararono causando 11 morti tra i manifestanti a Des Moines. Subito si creò una manifestazione spontanea davanti alla casa bianca al grido “aridatece i neocons!”. Dukakis, che si trovava in visita a Praga in quei giorni, fece di tutto per tornare al più presto negli Usa, ma le autorità del luogo crearono problemi facendo ostruzionismo sul viaggio. In quel periodo Dukakis viveva anche una crisi familiare, la moglie voleva lasciarlo in quanto dopo una giornata di lavoro egli era stanco morto (uno dei suoi punti di riferimento politico era Lyndon Johnson) e non riusciva nemmeno a cenare coi familiari. Essendo molto nervoso Dukakis insultò violentemente le autorità ceche. Ciò fece arrabbiare i compagni di Mosca che dichiararono che nei rapporti tra America e Urss niente sarebbe stato più come prima. Tornato a Washington, mentre mezzo governo si era già dimesso, Dukakis tentò la via del dialogo. Si recò in Idaho per discutere direttamente con lo zoccolo duro della protesta: i contadini di quello stato. Nonostante tutto il ricevimento fu a base di pomodori in faccia al presidente che, assediato da alcuni indemoniati con dei forconi, dovette tornare sull’Air Force One. Fu in aereo che seppe che i dati del ministero del commercio davano la disoccupazione al 35% a causa della sua politica economica. Inutile dire che di fronte a queste figure i mercati finanziari calarono anche del 10% al giorno. Il leader repubblicano al senato affermò:”Siamo in una crisi simile a quella del 1929, e ricordatevi che da quella crisi si uscì con due strade: da una parte il new deal, dall’altra il nazismo. Stiamo attenti”. L’Unione sovietica sferrò subito un attacco missilistico in Montana, ma Dukakis non ebbe la forza di rispondere colpo su colpo puntando sul dialogo. Ma era troppo tardi per il dialogo, ripetevano i dirigenti moscoviti. I contadini democratici e repubblicani e tutte le categorie si combattevano fra di loro. “E’ una nuova guerra civile” disse qualcuno “ma non abbiamo un Lincoln!”. L’Urss, sfruttando l’alleato cubano e simpatizzanti in Nicaragua invase l’America, conquistando ben 14 stati della costa est. Giunta a Washington l’armata rossa fece solo una richiesta al presidente: “Si converta al comunismo”. Dukakis si disse d’accordo perché si considerava “rappresentante dell’area di sinistra del Pd: sono un Kucinichiano della prima ora!”, e ciò peggiorò la situazione. I 50 stati si divisero e l’unione cessò di esistere. L’unione sovietica avanzava in quel periodo con la propria sfera d’influenza anche in America. Si concluse così il periodo chiamato “guerra fredda” con la vittoria del fronte sovietico.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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