Le murder ballad di Bruno Vespa

Pubblicato il 31 Ottobre 2011 alle 09:00 Autore: Matteo Patané
bruno vespa

[ad]Questa breve carrellata sul vastissimo mondo delle murder ballad evidenzia ad un tempo le analogie con la presentazione televisiva degli omicidi, validando le pretese di poter confrontare i due mezzi espressivi, e le differenze che invece consentono di poter analizzare l’evoluzione dell’approccio al tema.
Tanto nella forma canzone quanto nello spettacolo televisivo di prima serata domina l’aspetto scenografico, enfatizzato in un caso da testi volutamente crudi e provocatori e costruzioni musicali al servizio del messaggio veicolato dal testo, e nell’altro tramite i dibattiti e i gadget del caso come i famigerati plastici di Bruno Vespa. Considerando inoltre il genere delle murder ballad come un – pur inorganico – unico insieme, non si può non notare un aspetto quasi didascalico nel raccontare pressoché ogni tipologia di omicidio concepibile e concepita dalla mente umana; l’analogia con la varietà di casi polizieschi delle serie TV è evidente, sia pure nella differenza di intenti che caratterizza i due generi espressivi. Una serie TV nasce infatti per intrattenere, ed una canzone deriva invece da un’urgenza espressiva, eppure da un lato la continua ricerca di situazioni nuove e inriganti per non perdere audience e dall’altro i continui input forniti da fatti di cronaca e in generale dall’ispirazione degli autori hanno nel tempo prodotto ampie e necessariamente similari collezioni di situazioni e personaggi legati al mondo degli omicidi.

Naturalmente non mancano le differenze legate al mezzo espressivo. L’immedesimazione offerta da una narrazione in prima persona dal punto di vista dell’assassino non ha eguali nel mondo televisivo, in cui l’elemento visuale consente sempre di separare l’immagine del narratore/protagonista da quella dell’antagonista. Nella visione di una serie TV i gesti dell’assassino possono essere affrontati, capiti, giudicati, ma sono compiuti da un elemento “altro” rispetto al narratore, e quindi l’aspetto interpretativo assume massima visibilità. Nella canzone questo fattore è invece sfumato fino a scomparire; eventi e sensazioni riportate dai cantautori sono interpretazioni dei reali sentimenti di unkiller al pari di quanto appare in televisione, ma la privazione dell’elemento visivo unita alla narrazione in prima persona costruisce uno scenario emotivamente credibile, di grande impatto nello spettatore.
Altrettanto importante è l’assenza dalla musica di aspetti consolatori: nelle puntate delle serie televisive il colpevole viene invariabilmente catturato o messo nell’impossibilità di nuocere alla società, mentre nei salotti televisivi impazzano saluti alle vittime come se semplicemente fossero altrove, finalmente felici e in pace. Nella musica non si vede nulla di tutto questo, non sappiamo – non dalla canzone – la fine che farà l’assassino, veniamo a volte a conoscenza solo del suo tormento interiore e dei sentimenti che via via lo animano dopo aver ucciso la vittima di turno. La limitatezza temporale della canzone – pochi minuti – porta l’autore ad eliminare le parti meno pregne di significato, e non c’è quindi spazio per l’arrivo della cavalleria, per la cattura del colpevole ed il ristabilimento dell’ordine sociale. Solo per il dramma psicologico dell’omicidio.

Ma è proprio nei temi trattati che si colgono le maggiori differenze tra musica e televisione, che vengono evidenziate le differenti finalità dei due mezzi espressivi. La canzone tenta di colpire l’ascoltatore con la brutalità del delitto o la banalità del movente, ma non pretende di arrivare a comprendere il gesto dell’omicidio; narra la morte violenta come fosse parte dell’ordine naturale della vita allo scopo di suscitare emozioni forti, di rigetto, di annichilimento, in chi ascolta. Non pretende di assimilare l’omicida o di comprenderne gli istinti. Cantare l’omicidio come fosse normale serve solo a farne risaltare l’anormalità.
Programmi strutturati alla maniera di Porta a Porta sortiscono l’effetto inverso. Partendo da unaclaque e da un parterre di ospiti addomesticati a celebrare l’omicidio come fosse una messa, ciascuno con i propri paramenti e la propria parte da recitare, tentano di sviscerarne l’essenza arrivando tuttavia solo a banalizzarla. L’esibizione continua e spudorata in diretta TV di accuse, difese, moventi e perizie arriva a intorpidire quei sentimenti di allarme e ripudio che al contrario le parole delle canzoni innalzano ed esaltano, lasciando il telespettatore solo a interrogarsi su questioni di bassa lega facendogli perdere di vista ciò che è realmente importante.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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