Napolitano come Scalfaro?
Non ci sto
Il 3 novembre del 1993 il Presidente Scalfaro dichiarò, a reti unificate, il famoso: «a questo gioco al massacro, io non ci sto». Vent’anni dopo i buffoni della politica italiana spingono per una nuova profonda crisi istituzionale utilizzando come pretesto le vicende relative alla condanna in Cassazione di Berlusconi. Il Cavaliere è un condannato con sentenza passata in giudicato che sconterà la pena secondo la normativa vigente: questo è ciò che prevede la legge e questo è ciò che ha ricordato il Capo dello Stato già il 13 agosto scorso. I cittadini a 5 Stelle, però, non perdono occasione per gridare all’inesistente soccorso del Presidente della Repubblica in favore del pregiudicato di Arcore. Già nelle ore successive alla pronuncia della Cassazione, il senatore Giarrusso ha chiesto l’impeachment di Napolitano perché gli era chiaro che avrebbe graziato il Cavaliere. Più moderato, ma insistente, è invece Grillo che da mesi, almeno una volta al giorno, invoca le dimissioni dell’inquilino del Quirinale.
Essi ignorano che il Capo dello Stato non ha mai trascurato la questione carceraria. Da senatore a vita, nel 2005, e poi nel 2011 (quando, come ha ricordato Sofri su Repubblica, Berlusconi “stava benone”), egli già aveva preso parte ad iniziative promosse dai Radicali italiani perché fossero adottati provvedimenti di clemenza che attenuassero la drammaticità delle condizioni di detenzione. E i provvedimenti di cui si discute oggi non andrebbero a beneficio di Berlusconi (condannato per reati fiscali): l’ha ribadito il Ministro Cancellieri e l’ha confermato la delusione con cui il Cavaliere e i suoi giornali hanno accolto il messaggio presidenziale. Napolitano ha agito in buona fede, pur sapendo che avrebbe sollevato ancora insulti volgari e pretestuose polemiche da quegli “esponenti politici e uomini di spettacolo che sulla rendita di insinuazioni come queste ingrassano” (sempre Sofri). Il Capo dello Stato si è tuttavia esposto perché la Costituzione non ammette la disumanità della pena, che, al contrario, deve mantenere finalità rieducative, e perché l’Unione Europea ha condannato l’Italia a risarcire i detenuti per le condizioni in cui sono costretti a pagare il proprio debito con la Giustizia. A 88 anni il Presidente mostra di avere la lucidità e la capacità che invece mancano a tutti coloro che in malafede straparlano. Per tacitare Grillo, Travaglio e i loro seguaci, Napolitano dovrebbe, però, osare di più: vada in tv a spiegare ai buffoni e ai loro elettori come stanno le cose. Forse c’è bisogno di un nuovo, secco “non ci sto” affinché sia finalmente chiaro a tutti che Berlusconi è stato già salvato, ma non dal Quirinale. È stato salvato da Grillo e dai parlamentari che a lui ubbidiscono quando, lo scorso marzo, incapaci di distinguere e scegliere, hanno rifiutato la collaborazione offerta dal Partito Democratico. Poteva cambiare qualcosa, nel Paese e nel PD, e invece è stato resuscitato Barabba.
Post Scriptum. Io non condivido né l’indulto né, tantomeno, l’amnistia. La situazione generale della giustizia va affrontata con interventi strutturali (riforma del processo, depenalizzazione delle contravvenzioni e dei delitti minori, rafforzamento delle pene alternative alla detenzione), non con provvedimenti emergenziali che snaturano il concetto di “certezza della pena”. Ma solo chi è in malafede non coglie la genuinità e la nobiltà del messaggio del Presidente Napolitano.
Andrea Enrici