Nasce il governo in Norvegia, giù gli altri: la settimana scandinava
(10/10/2013) Governi che nascono e governi che annaspano. La politica in Scandinavia si muove tra accordi programmatici, sondaggi, accuse e giudizi di merito.
La notizia più importante arriva dalla Norvegia, dove lunedì scorso è stata presentata la piattaforma di governo: a sottoscriverla Destra e Partito del Progresso, le due forze politiche che guideranno la nazione fino al 2017. Neanche il tempo di concludere la conferenza stampa e già piovevano commenti.
La domanda più gettonata è questa: come faranno Destra e Partito del Progresso a finanziare i tanti punti del programma da loro sottoscritto? In poche parole: dove li troveranno, i soldi?
Se lo chiedono docenti universitari, commentatori politici, economisti. E se lo chiede pure Jens Stoltenberg, leader laburista e primo ministro uscente: “Promettono molto” ha dichiarato, “ ma dicono poco su dove prenderanno le risorse. Allo stesso tempo annunciano tagli fiscali, e questo significherà meno fondi per la scuola e la sanità”.
Anche chi l’esecutivo dovrebbe appoggiarlo da fuori non sembra del tutto soddisfatto. Il Partito Liberale, ad esempio. “La piattaforma di governo dimostra perché noi non ne facciamo parte” ha dichiarato la liberale Guri Melby. A non piacere è soprattutto la scarsa attenzione che Destra e Partito del Progresso hanno riservato alle questioni ambientali, una mancanza sottolineata pure da Knut Arild Hareide, leader dei cristiano popolari – altra formazione politica che dovrebbe sostenere dall’esterno il governo del primo ministro Erna Solberg. Hareide ha già detto che su molte cose non seguirà l’esecutivo: una presa di posizione che non preoccupa Solberg, la quale ha risposto che il destino del governo non è legato a liberali e cristiano popolari.
In Svezia, invece, la carica dell’esecutivo guidato dal moderato Reinfeldt pare sempre più vicina ad esaurirsi. Secondo un’indagine del quotidiano Expressen, solo un terzo dei lavoratori dice di essere contento del taglio alle tasse sul lavoro che Reinfeldt ha annunciato qualche settimana fa e che ora dovrà confluire nella proposta di bilancio.
Non è che agli svedesi piaccia pagare di più e avere meno denaro nel portafoglio, semplicemente si tratta di un risparmio in busta paga molto relativo che non infiamma i cuori dei ceti medi. E i partiti rosso-verdi ne approfittano per ribadire che la linea fiscale del governo è sbagliata: un ritornello che probabilmente comincia ad avere presa sull’elettorato, tanto da spostare opinioni e voti.
E a proposito di voti: il leader del partito socialdemocratico Stefan Löfven ha incassato l’appoggio dei sindacati. Diciamolo subito: non c’è da essere sorpresi. Considerato che nella storia politica svedese laburisti e organizzazioni dei lavoratori hanno sempre intessuto rapporti molto stretti, si tratta per lo più di un ritorno alle origini.
L’unica novità in effetti sta qui: nelle ultime elezioni il supporto al partito socialdemocratico da parte dei sindacati era stato piuttosto freddo. Ora con Löfven (che, è bene ricordarlo, è un ex sindacalista) le vecchie abitudini sembrano tornate in carreggiata. Un asso in più per i laburisti, che a un anno dal voto sono lanciati verso la vittoria. Ma dopo? Se nel 2014 dovesse arrivare il successo elettorale tanto atteso, cosa accadrà?
Si parla di alleanze, in questo caso. Partito della Sinistra e Verdi condividono con i laburisti lo stesso lato dello schieramento politico: per ora tutti e tre si guardano, dialogano ma tendono a mantenere una certa distanza. Una decisione verrà presa l’anno prossimo, dicono un po’ tutti.
Analisi e sondaggi lasciano intendere che tra gli elettori prevalga la convinzione che i tre partiti dovrebbero alla fine governare insieme, soprattutto laburisti e Partito della Sinistra. Nei confronti dei Verdi le opinioni sono leggermente più sfumate, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali. E proprio queste incertezze potrebbero essere utilizzate dai conservatori per mettere in difficoltà il centrosinistra.
In Finlandia, il governo continua a muoversi su un percorso accidentato. L’opposizione resta davanti nei sondaggi. Il Partito di Centro è al 22,6 per cento, i Veri Finlandesi al 18,8. Risale il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen (18,4) mentre gli alleati di governi laburisti restano più o meno dov’erano (15,3). Indietro le altre forze della maggioranza.
Rispetto a qualche settimana fa i movimenti non sono rilevanti: decelera la crescita delle opposizioni e risalgono un po’ i due principali attori del governo multicolore che siede a Helsinki. Ma resta il dato iniziale, in fondo il più importante: l’opposizione continua ad avere più seguito elettorale.
Anche in Danimarca siamo alle solite: critiche al governo della laburista Helle Thorning-Schmidt. Jacob Graven, capo economista della Sydbank, dà all’esecutivo un pessimo voto: in Danimarca la ripresa è dovuta al quadro internazionale che sta migliorando, non certo alle scelte fatte dal governo. Bo Sandemann Rasmussen, che insegna economia all’università di Aarhus, la pensa più o meno allo stesso modo ma aggiunge: l’esecutivo ha gettato le basi per una crescita più stabile negli anni a venire.
Intanto il governo laburista prova a mettere in difficoltà quel Partito Liberale che stando alle indagini demoscopiche è da mesi la principale forza politica del paese. E sceglie di farlo mettendo sul tavolo un’accusa sorprendente: pigrizia politica. Già, perché secondo i laburisti il Partito Liberale in questi due anni di opposizione avrebbe fatto troppo poco: un danno alla democrazia, accusano. Quando è toccato ai socialdemocratici stare all’opposizione, ricorda l’attuale maggioranza, è stato fatto dieci volte tanto.